Omicidio Andreacchi, la mamma non si arrende. «Voglio giustizia per il mio bambino»

VIDEO | Parla la madre del giovane sequestrato e ucciso appena 18enne a Serra San Bruno. I suoi resti vennero fatti trovare in un cassonetto e in un bosco di castagno. A 9 anni dalla scomparsa la famiglia non si rassegna: «Mi dicono che era il suo destino. No, non lo era»

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di Tiziana Bagnato
13 giugno 2018
12:36

«Finché avrò forza io continuerò a parlare, non mi fermerò. Era solo un bambino. Mi dicono che era il suo destino. Non è vero, non era il suo destino».Maria Rosa Miraglia è la madre di Pasquale Andreacchi, il ragazzo ucciso un mese dopo avere compiuto diciotto anni a Serra San Bruno, nel vibonese. Era ottobre 2009 quando Pasquale uscì di casa e non fece più rientro.  Soltanto dopo si sarebbe saputo che il giovane era stato sequestrato, fatto mettere in ginocchio, ucciso con un colpo di pistola alla tempia e il suo corpo gettato in pasto agli animali selvatici.

 



Una vera e propria esecuzione fatta su un ragazzo poco più che bambino, estraneo ad ambienti malavitosi. L’unica pista seguita il debito per un cavallo, uno stallone. Pasquale non era ancora riuscito a saldarne l’acquisto perché il premio assicurativo su cui contava per sanare la cifra non era arrivato. E il giovane avrebbe raccontato di essere stato più volte minacciato dai proprietari della bestia che avrebbero voluto venire in possesso della somma dovuta subito. «Pasquale era un ragazzo di diciotto anni compiuti da nemmeno un mese, era vivace e lavoratore ma molto timido. Si vergognava anche di salutare». Così lo ricorda Maria Rosa, così ricorda quel figlio avuto a tredici anni crescendolo con amore e dedizione e unendo l’amore atavico di una madre alla complicità di una sorella maggiore. “Il gigante buono” così lo chiamavano per la sua altezza, due metri e dieci, aveva due grandi occhi scuri e uno sguardo malinconico. Guardava il mondo quasi sempre da in sella ad un cavallo Pasquale. Nelle foto che lo ritraggono lui, il gigante buono, è sempre nel maneggio di famiglia a Serra San Bruno in cui lavorava già da qualche anno.

 


«Come si può prendere pace? Bisogna andare avanti, farsi coraggio e chiedere giustizia » ci dice Maria Rosa indossando una t shirt nera con la foto del figlio. La giustizia in questa vicenda ha fatto ben poco. Dal 2009 sono passati nove anni che non hanno portato a nessun risultato per quella vita recisa così prematuramente e con tale inaudita cattiveria. La pista di un debito per un cavallo non finito di pagare non ha portato a nulla. Nove anni in cui il caso era stato anche archiviato, poi riaperto ma senza nessun passo in avanti.

 

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Giornalista
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