È una di quelle matasse che più si scioglie e più lacera. E fa male anche solo immaginare la fine di quel bimbo che tante coppie avrebbero accolto in casa loro e ricolmato di attenzioni e amore. Non ha avuto molto tempo. Forse pochi istanti prima che smettesse di respirare.

Per la Procura a mettere fine a quella vita innocente è stata la nonna. Dalle prime indiscrezioni, le indagini che proseguono anche in queste ore hanno mostrato video degli impianti di videosorveglianza che parlerebbero chiaro. La donna, dopo il parto in casa e il presunto infanticidio, avrebbe lei stessa tentato di sbarazzarsi del corpicino portandolo nella scogliera della darsena di Pezzo rinchiuso in uno zainetto. Tutto da sola.

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Avrebbe messo in piedi un piano non solo per nascondere e negare la gravidanza ma anche per depistare le indagini costringendo la piccola a uscire e passeggiare a Villa dopo il parto.  Ma qualcuno si è accorto di quanto la 13enne fosse sofferente e il piano della donna è andato in fumo.

Neonato trovato morto a Villa, disagio familiare noto al Comune

Segnalazioni arrivate dopo la tragica scoperta. Eppure continuano a rincorrersi interrogativi che gelano il sangue. La famiglia, composta da madre e due figlie, considerato che il padre le ha lasciate molto tempo fa, era già stata attenzionata dai servizi sociali di Villa San Giovanni.

Come già emerso, la 13enne affetta da un deficit cognitivo aveva anche a scuola tutto il supporto del caso. Resta sospeso un interrogativo: come è possibile che scuola e servizi sociali essendo a conoscenza della situazione di degrado non siano intervenuti? La donna accusata oggi di un delitto atroce ha altri figli che non vivevano con lei. Riceveva sussidi e aiuti economici da parte dei servizi sociali del Comune, compreso l’affitto della casa. Quindi la situazione di disagio era nota.

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La storia è sempre più a tinte fosche. E la rabbia adesso che tutto dovrebbe spegnersi continua a montare proprio perché «si poteva evitare». Lo dicono in continuazione e anche pubblicamente i residenti della zona. Un tam tam di informazioni che costringono a interrogarsi sulle responsabilità morali e sociali legate a questa tragedia.

Le due sorelline sono insieme al sicuro. La donna dovrà rispondere penalmente ma c’è una comunità che non si dà pace e che chiede risposte nella speranza che l’indifferenza non uccida ancora una volta.

L’indifferenza ha reso la 13enne invisibile tanto da poter nascondere una gravidanza sofferta e indesiderata. E nella stessa indifferenza è morto un bimbo che non avrà mai un nome.