Inchiesta Factotum

‘Ndrangheta in Piemonte, il piano per screditare Mantella. I pm: «I vertici della Filca-Cisl sapevano che Ceravolo era vicino ai clan»

Le accuse che la Dda di Torino contesta alle sei persone fermate nell’operazione Factotum. Il controllo del settore edile da parte del sindacalista originario di Vibo, l’intesa con Serratore per testimoniare in Rinascita Scott e l’estorsione da 20mila euro in gioielli

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di Alessia Truzzolillo
25 settembre 2024
21:01

Sono accusate di appartenere alla cellula ‘ndranghetista di Carmagnola, in Piemonte, le sei persone fermate ieri nel corso di una operazione condotta dal comando provinciale della Guardia di finanza di Torino, guidato dal generale Carmine Virno, e coordinata dalla Dda del capoluogo lombardo, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri.
Le origini di questa cellula sono bene agganciate alla Calabria e al territorio vibonese in particolare. Al vertice troviamo, infatti Francesco D’Onofrio, nato a Mileto 69 anni fa, ritenuto affiliato alla ‘ndrangheta fin dal 2006, già legato al clan torinese retto dai fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea.

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D’Onofrio avrebbe agito all'interno dell’associazione della 'ndrangheta piemontese a Carmagnola, riconducibile alle famiglie Arone, Defina, Serratore, e in sinergia con soggetti collegati alla compagine ‘ndranghetista della cosca Bonavota di Sant‘Onofrio, collegata alle cosche ’ndranghetiste della provincia di Vibo Valentia. Nel corso di un periodo di fibrillazione, in seguito a numerosi arresti, avrebbe organizzato nella sua casa e in luoghi vicini incontri con gli affiliati per serrare i ranghi e organizzare l’attività dell’associazione.
Insieme a Domenico Ceravoli e Antonio Serratore avrebbe organizzato la testimonianza di Ceravolo nel processo Rinascita Scott del 18 febbraio 2023 con l’intento di screditare il collaboratore di giustizia Andrea Mantella e favorire le consorterie vibonesi – sostiene l’accusa - nell'interesse degli imputati del maxi processo.


Dal controllo del settore edile alla testimonianza nel maxi processo

Insieme a lui è stato posto in stato di fermo Domenico Ceravolo, 47 anni, di origini vibonesi, operatore sindacale e membro (ora sospeso) della sigla Filca-Cisl, considerato uomo posto al “controllo” del settore edile con un occhio di riguardo per le imprese vicine al clan, favorendo – sostiene la Dda di Catanzaro – l’assunzione di soggetti vicini al sodalizio, legati alle famiglie Arona, Serratore e Defina, che avrebbe anche aiutato nel presentare la domanda per il reddito di cittadinanza. Nell’interesse della cosca avrebbe anche intrattenuto rapporti con Onofrio Garcea, considerato il capo dell’articolazione genovese della cosca Bonavota di Sant’Onofrio.
Notoria è l’accusa di avere favorito la latitanza di Pasquale Bonavota a Genova fornendogli il suo documento di identità, fatto scoperto in seguito alle perquisizioni dei carabinieri in casa dello stesso Bonavota. Precedentemente aveva testimoniato nel corso del maxi processo Rinascita Scott dove avrebbe – sostengono le Distrettuali di Catanzaro e Torino – dichiarato il falso per screditare il collaboratore di giustizia Andrea Mantella.

I pm: «Filca-Cisl sindacato di riferimento, i vertici sapevano di Ceravolo»

Per i boss della 'Ndrangheta piemontese la Filca-Cisl era diventato «il sindacato di riferimento». È quanto si legge nelle carte dell'inchiesta Factotum, svolta dalla guardia di finanza con il coordinamento dalla Dda di Torino, che ieri è sfociata nel fermo di sei persone. Domenico Ceravolo, componente della segreteria di Torino e del Canavese del sindacato avrebbe contribuito alle attività rivolte al controllo del settore edile del gruppo. In una conversazione intercettata nel 2022 un uomo lo contatta per lamentarsi che in un cantiere a Milano «c’ho la Uil che sta facendo degli iscritti, non vorrei poi che mi rompesse il c... qua il tuo collega della Cisl». «E tu non glieli far fare», è la risposta. L'uomo quindi contatta il cantiere invitando i «ragazzi» a non proseguire con le iscrizioni «perché la Uil non è il nostro sindacato». «Questa affermazione - annotano i pubblici ministeri - dimostra che il gruppo investigato consideri la Filca-Cisl il sindacato di riferimento». Inoltre «il datore di lavoro si sente garantito dalla presenza di un sindacalista che non è piena espressione di un sindacato, bensì di un diverso centro di potere, di cui fa parte Ceravolo». 

Sempre secondo la Dda, Ceravolo ha «organizzato incontri con appartenenti alla 'Ndrangheta o alla criminalità comune» e anche «ex terroristi» per conto di Francesco D'Onofrio, considerato dagli inquirenti un «dirigente della rete 'ndranghetista piemontese».

I vertici nazionali e torinesi della Filca-Cisl, si legge ancora nel fermo, «appaiono consapevoli» della «contiguità all'ambiente ‘ndranghetistico» di Domenico Ceravolo. I pubblici ministeri affermano che gli accertamenti (svolti anche presso la Cassa edile) portano a concludere che la presenza di Ceravolo comportasse «vantaggi bilaterali e reciproci» sia per il gruppo 'ndranghetista che per il sindacato. I pm annotano «l’elargizione di utilità-favori del tutto anomali e non giustificati dall'ordinaria attività di operatore sindacale, utilità decise e gestite dai vertici» del sindacato «in costanti e intimi rapporti con Ceravolo». I «vantaggi» per il sindacato, sempre secondo gli inquirenti, consistevano nella capacità di Ceravolo di «tesserare lavoratori, in particolare tra le imprese riconducibili a soggetti di origine calabrese, garantita dalla contiguità dello stesso Ceravolo all'ambiente 'ndranghetistico». 

L'accusa: un accordo per rendere falsa testimonianza

Nell’articolazione colpita dal fermo troviamo che Antonio Serratore, 50 anni di Vibo Valentia, considerato attivo nell'articolazione associativa carmagnolese. Serratore non solo avrebbe favorito la latitanza di Pasquale Bonavota ma avrebbe anche concordato con Ceravolo termini e modi per rendere falsa testimonianza nel corso del processo Rinascita Scott. Avrebbe preteso illeciti pagamenti di denaro da terze persone, mandando i suoi sodali mentre lui era detenuto.

I nuovi adepti della 'ndrangheta in Piemonte

Si sarebbe inserito nell’organizzazione mafiosa carmagnolese nel 2022 Rocco Costa, nato a Vibo Valentia 59 anni fa, e si sarebbe prodigato sul territorio di Carmagnola per fornire protezione ad imprenditori nel corso di dissidi con altri operatori del settore, riscuotendo somme di denaro da destinare agli associati.
Claudio Russo, 50 anni, avrebbe risposto agli ordini di Francesco D’Onofrio anche lui a partire dal 2022 e sarebbe diventato il custode di somme di denaro.

Il consigliere del gruppo D'Onofrio

E’ considerato, invece, affiliato alla ‘ndrangheta dal 2003 Giacomo Lo Surdo, 51 anni, con precedenti nella cosca Crea e legatosi al gruppo di D’Onofrio almeno dal 2023. Viene identificato come una sorta di consigliere circa le strategie da tenere dopo la liberazione dei componenti del gruppo Crea e riportando al capo cosca i dissidi sorti tra i vari imprenditori.

L’estorsione da 20mila euro in gioielli

Il gruppo è accusato di aver compiuto estorsioni, ricettazione e detenzione di armi. Le vittime sono commercianti e imprenditori. Da uno, in particolare, si sarebbero fatti consegnare il corrispettivo in gioielli, di 20mila euro. La pretesa di denaro nei confronti di un altro si sarebbe manifestata con la minaccia: «Questo è in galera non è che uno...già glieli deve mandare fuori, mo che è in galera, che fa? glieli dai ogni morto di papa? digli pure 100 euro, 200 euro...deve avere l'intenzione, pure che lui è messo male, 100 euro, 200 euro».

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