«Furono le cosche cosentine a vendere l’acido per uccidere»

Il pentito Nicola Notargiacomo nel corso del processo Ndrangheta stragista ricostruisce il delitto Cosmai e descrive i rapporti con il boss Graviano e Cosa nostra

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di Consolato Minniti
25 maggio 2018
11:14

«L’omicidio Cosmai viene concepito in carcere. In quegli anni, 1983, le manganellate avevano raggiunto un livello insopportabile. Per niente gli agenti di custodia prendevano a manganellate i detenuti». Lo ha appena riferito in aula il pentito di ‘ndrangheta Nicola Notargiacomo, ex esponente della cosca cosentina dei Perna-Pranno. Notargiacomo, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha riferito che le cosche del territorio di Cosenza non avevano alcun rappresentante nel Crimine di Polsi. «Bisognava avere dei requisiti precisi, come non avere precedenti per sfruttamento della prostituzione, e questi requisiti li avevamo in pochi, ma non ci interessava avere rappresentanza a Polsi».

L’omicidio Cosmai

«A giugno del 1984 ci fu una sorta di protesta, perché i detenuti del padiglione B – ha spiegato Notargiacomo – reclamavano l’ora d’aria estiva, ma questo non ci veniva concesso. A me la cosa non interessava più di tanto, lavoravo alla spesa. Mi accorsi che arrivarono 40 agenti di custodia con caschi e cominciarono il pestaggio. Anch’io finì lì dentro, ma non ne sapevo nulla. Il portavoce di sezione Serpa ci informò che non dovevamo andare dal direttore, ma “se vuole deve venire lui”. Menarono tutti, gente che apparteneva alle cosche e altri, fra cui Franco Perna. In quel contesto maturò la volontà di punire la direzione del carcere di Cosenza.


 

A me non mi vide nessuno, su di me non c’era nulla ma solo la testimonianza di un bambino che aveva visto un ragazzo con i capelli ricci e non si sbagliava perché era Stefano Bartolomeo. Parlava pure di un occupante di una 127 che ero io, ma non mi vide mai nessuno in viso. Bartolomeo venne arrestato il 13 marzo 1985, un giorno dopo l’omicidio. In primo grado fummo condannati all’ergastolo, poi in Appello assolti per insufficienza di prove. La Procura rinunciò all’appello e lo facemmo pure noi».

I rapporti con Graviano

Notargiacomo racconta come avvenne la sua conoscenza con elementi di Cosa nostra. «In carcere a Trani conobbi Giuseppe Marchese e anche suo fratello Antonino. Con loro si è instaurato un rapporto di amicizia fraterno. Abbiamo conosciuto Leoluca Bagarella e tantissimi altri esponenti di Cosa nostra. In quel periodo c’era il gotha detenuto in quel carcere. Appena usciti dal carcere, siamo andati a conoscere i familiari di Nino Marchese, c’era un grande rapporto di fiducia. Ho conosciuto pure suo cugino, Giovanni Drago, con cui abbiamo avuto anche scambi di affari: cessioni di armi e sostanze stupefacenti, nonché disponibilità a ricoprire incarichi e ruoli in caso d’emergenza. Giovanni Drago ci fece conoscere Giuseppe Graviano e con lui si instaurò un rapporto di fiducia e di affari. Ci diedero la possibilità di avere una copertura dopo l’agguato al fratello di Bartolomeo.

 

L’incontro di presentazione con Graviano avvenne a Palermo, alla presenza dei Tutino. Iniziò una frequentazione diretta fra noi e Graviano, un rapporto quasi fraterno. Lui venne a trovarci a Cosenza, fui io a portarlo in giro con la moglie. Pernottarono nell’abitazione di Stefano Bartolomeo, che si trovava a Castrolibero. Li portai in Sila, un ottimo rapporto di frequentazione. Una sera andammo a cena insieme a Villa Igea e ci presentò persone importanti».

Vittime di infamia

«Ci fecero arrestare per l’omicidio Cosmai, fummo vittime di “infamità”», ha spiegato Notargiacomo. «I nostri rapporti si deteriorarono con le cosche di Cosenza». Il pentito ha raccontato di come gli altri esponenti cosentini si «mangiarono tutti i soldi della bacinella» e di come «furono loro a vendere l'acido utilizzato per uccidere delle persone».

 

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