‘Ndrangheta a Lamezia, il sostegno dei clan ai politici: ecco tutti i legami ed i retroscena

Da Giuseppe Paladino a Pasqualino Ruberto, da Marialucia Raso ad Antonio Mazza sino a Pietro Monterosso. E poi quella foto che ritrae Alessandro Gualtieri (ieri arrestato) con altri due consiglieri comunali
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di Giuseppe Baglivo
24 maggio 2017
14:44

Rischia di creare non pochi problemi politici l’operazione “Crisalide” (LEGGI I NOMI DEGLI ARRESTATI) che ieri ha colpito il clan Cerra-Torcasio-Gualtieri di Lamezia Terme. La Dda di Catanzaro ipotizza infatti il reato di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti del vicepresidente del Consiglio comunale di Lamezia Terme, Giuseppe Paladino, 31 anni, e nei confronti di Pasqualino Ruberto, 46 anni, attualmente sospeso dalla carica di consigliere comunale dopo il suo coinvolgimento nel febbraio scorso nell’inchiesta “Robin Hood” sul Credito sociale che lo vede indagato nelle vesti di ex presidente di “Calabria Etica”, società in house della Regione Calabria. Pasqualino Ruberto nelle ultime amministrative del 2015 si era candidato a sindaco di Lamezia Terme.

 


Ci sono però altri legami che imbarazzano la politica lametina e che in queste ore sono al vaglio pure della Prefettura di Catanzaro. Gli organi elettivi di Lamezia Terme sono stati infatti già sciolti in passato due volte per infiltrazioni mafiose, precisamente nel 1991 e nel 2002. In tale ultimo caso, inoltre, le successive pronunce dei giudici amministrativi, confermative dello scioglimento, hanno ribadito che un Consiglio comunale può essere sciolto in via preventiva anche per il solo “pericolo” di infiltrazioni mafiose e che comunque l’ente locale deve sempre mantenere all’esterno un profilo di prestigio e credibilità.

 

Stando così le cose, si capisce come massima attenzione viene prestata in queste ore dagli uffici antimafia della Prefettura di Catanzaro su alcuni rapporti di non poco conto.

 

Fra gli arrestati dell’operazione “Crisalide”, con le accuse di detenzione di droga ai fini di spaccio e associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, figura anche Alessandro Gualtieri, 28 anni, alias “Baggiano”, fidanzato con Marialucia Raso, quest’ultima attuale consigliere comunale di maggioranza a Lamezia Terme, eletta nelle amministrative del 2015 nella lista “Lamezia Unita, Mascaro sindaco”.

 

Basta una veloce ricerca sul social network facebook per scoprire che il legame sentimentale fra i due (Gualtieri-Raso) va avanti dal 2011. Nulla di male se non fosse che attualmente la Raso ricopre un incarico pubblico (consigliere comunale) ed il fidanzato – Alessandro Gualtieri - da ieri si trova in carcere nell’ambito dell’operazione antimafia che ha colpito il clan Gualtieri-Torcasio-Cerra. 

 

La foto fra Gualtieri e altri due consiglieri. Nel pubblico profilo di Marialucia Raso compare poi un’altra foto che alla luce dell’arresto ieri di Alessandro Gualtieri rischia di creare qualche “imbarazzo”. La stessa ritrae infatti Marialucia Raso in compagnia – fra gli altri - di Alessandro Gualtieri e dei consiglieri comunali Armando Chirumbolo (eletto nel 2015 nella lista del Nuovo Centro Destra a sostegno di Paolo Mascaro quale sindaco) e Maria Grandinetti (eletta nella lista Lamezia Unita con Mascaro sindaco). La foto porta la data del 3 luglio 2016, quindi un anno dopo l’elezione in Consiglio comunale dei tre. In ogni caso, è bene ribadire che i tre consiglieri comunali, Raso, Chirumbolo e Grandinetti, non risultano in alcun modo indagati o citati nell'ambito dell'operazione "Crisalide". (In foto da sinistra verso destra Armando Chirumbolo, Maria Grandinetti, Marialucia Raso e Alessandro Gualtieri)

 

Le accuse a Ruberto e Paladino. Pasqualino Ruberto, Giuseppe Paladino (quale candidato al Consiglio Comunale di Lamezia Terme nella lista civica denominata “Pasqualino Ruberto sindaco”), nonché il dottor Giovanni Paladino, padre di Giuseppe, sono accusati del reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa dei Torcasio-Cerra-Gualtieri. A fronte dell’appoggio elettorale, “esplicitamente richiesto dai tre indagati ed articolatosi nell’attività di procacciamento di voti e nella concreta propaganda elettorale, realizzata sotto forma di organizzazione di comizio elettorale davanti ai luoghi di ritrovo dei sodali dell’organizzazione criminale, nonché di attacchinaggio dei manifesti elettorali in via esclusiva e con modalità proprie dell’organizzazione ‘ndranghetista”, avrebbero fornito un “concreto, consapevole e volontario contributo finalizzato alla conservazione e al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione medesima su quel territorio”.

 

Secondo le risultanze investigative, i Paladino si sarebbero recati in macchina nel “fortino” del clan Torcasio-Cerra dove avrebbero incontrato alcuni elementi di vertice della cosca, “verosimilmente Cerra Teresina al fine di richiedere l’appoggio elettorale della cosca”. Saliti sulla stessa auto Antonio Miceli (ritenuto il nuovo reggente del clan in quanto marito di Teresa Cerra), Giuseppe Paladino e Giovanni Paladino, quest’ultimo avrebbe esternato nelle intercettazioni il “timore che eventuali organi investigativi avessero potuto immortalare la loro presenza in quell’area tramite l’installazione di ipotetiche telecamere”. A rassicurare i due Paladino ci avrebbe pensato Antonio Miceli ma nonostante ciò, prima di scendere dalla macchina, Giovanni Paladino avrebbe intimato al figlio Giuseppe di “indossare il cappuccio del giubbotto in modo tale da poter travisare la sua identità”. Significativa in tal senso l’intercettazione in cui il futuro vicepresidente del Consiglio comunale di Lamezia Terme, seguendo il consiglio del padre di mettersi il cappuccio, esclamava: “Ah, certo…così non sono io, no?…ce lo siamo messi il cappuccello?”

 

Nel corso del viaggio di ritorno, Giovanni Paladino – nei dialoghi captati dagli investigatori – avrebbe quindi “elogiato i familiari acquisiti di Miceli Antonio, appartenenti alla cosca mafiosa dei Torcasio, commentando i rapporti che aveva intrecciato negli anni con Giovanni Torcasio classe 1960”, condannato a 7 anni e 4 mesi nell’operazione antimafia “Remake” e a 8 anni nell’operazione “Chimera”. Alla riunione elettorale fra i due Paladino e Antonio Miceli nel “fortino” dei Torcasio avrebbe partecipato – ad avviso degli investigatori – pure Antonia Torcasio, moglie proprio di Giovanni Torcasio.

 

Siamo al 21 marzo 2015 e dopo tale riunione, ad avviso degli inquirenti, il futuro vicepresidente del Consiglio comunale di Lamezia Terme, Giuseppe Paladino, avrebbe iniziato a frequentare il bar Royal di Antonio Miceli sito nel quartiere di Capizzaglie.

 

Un comizio elettorale di Pasqualino Ruberto, all’epoca candidato a sindaco di Lamezia, si sarebbe invece tenuto proprio nel piazzale davanti al bar Royal, con Antonio Miceli che nelle intercettazioni spiegava come Pasqualino Ruberto fosse considerato “dagli appartenenti a quella consorteria criminale un loro politico di riferimento”. Stiamo organizzando il comizio per sabato… Morbidone con Noi si è comportato bene…si comporta bene, glielo dobbiamo dare il voto…) diceva infatti nelle intercettazioni Antonio Miceli al suo interlocutore chiamando Pasqualino Ruberto con l’appellativo di “Morbidone”.

 

I manifesti elettorali. Per i ragazzi impegnati ad attaccare i manifesti elettorali di Giuseppe Paladino e Pasqualino Ruberto, secondo i carabinieri, Antonio Miceli avrebbe poi promesso 50 euro per il rimborso delle spese per il carburante consumato dalle macchine utilizzate per affiggere i manifesti e assicurato “un futuro posto di lavoro” ai genitori dei ragazzi perché – spiegava nelle intercettazioni – “Almeno qualche posto di lavoro lo facciamo uscire poi…ora dobbiamo assumere tuo padre….” . Oltre aciò, Antonio Miceli avrebbe promessoagli attacchini dei manifesti elettorali un euro e 50 per ogni manifesto affisso.

 

Gli altri candidati ed il presunto sostegno dei clan. Dall’informazione di garanzia a carico di Pasqualino Ruberto, Giuseppe Paladino e Giovanni Paladino, si scopre però che anche altri candidati al Consiglio comunale di Lamezia Terme – non eletti – sarebbero stati appoggiati dai clan o dai loro uomini.

 

Su Antonio Mazza (in foto), 50 anni, candidato nel 2015 al Consiglio comunale di Lamezia nella lista di Pasqualino Ruberto, gli inquirenti scrivono che lo stesso avrebbe “avvicinato Ruberto ai Torcasio, e per essi a Miceli”, in quanto Pasqualino Ruberto si sarebbe dovuto interessare a far assumere lo stesso Antonio Mazza alla Sacal, società che gestisce l’aereoporto di Lamezia Terme, mentre sul candidato Pietro Monterosso, 34 anni (l'ultimo in foto), candidato a consigliere comunale di Lamezia nel 2015 nella lista “Lamezia & Libertà” a sostegno del candidato a sindaco Paolo Mascaro (attuale primo cittadino di Lamezia) la Dda di Catanzaro sottolinea che lo stesso avrebbe chiesto il personale voto di Vincenzo Grande, quest’ultimo ieri arrestato con l’accusa di gestire per conto del clan Cerra-Torcasio-Gualtieri il traffico illecito di stupefacenti. “A tal proposito Vincenzo Grande – scrivono i magistrati – nonostante gli comunicava che unitamente alla sua famiglia avesse promesso sostegno elettorale al candidato Paladino Giuseppe, dopo varie insistenze da parte del Monterosso, gli garantiva il suo voto”.

 

Quanto basta ed avanza per accendere, ancora una volta, i riflettori sul Consiglio comunale di Lamezia Terme e sulla politica locale.

 

Giuseppe Baglivo 

 

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Giornalista
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