Ndrangheta: 61 arresti in Umbria. 'Autentica holding criminale'

I carabinieri del Ros di Perugia hanno eseguito 61 ordinanze di custodia cautelare e sequestrato beni per 30 milioni di euro
di redazione
10 dicembre 2014
09:14

Perugia - Maxi blitz della ‘ndrangheta in Umbria. Dalle prime ore di questa mattina i carabinieri del Ros di Perugia stanno dando esecuzioni a 61 ordinanze di custodia cautelare emanate dalla Direzione Antimafia del capoluogo Umbro. È un vero “ sodalizio ‘ndranghetista radicato in Umbria - dicono gli uomini dell’arma - con infiltrazioni diffuse nel tessuto economico locale e saldi collegamenti con le cosche calabresi di origine”.

Diversi i reati contestati: associazione mafiosa, estorsioni, danneggiamenti, usura, bancarotta fraudolenta, trasferimento fraudolento di valori, incendi e truffa con l'aggravante delle finalità mafiose nonché per associazione finalizzata al traffico di stupefacente e sfruttamento della prostituzione. L’indagine ha portato anche al sequestro preventivo di beni per un valore di circa 30 milioni di euro. L’inchiesta ha inoltre documentato modalità tipicamente mafiose messe in atto per condizionare le attività imprenditoriali, in particolar modo edile, facendo anche ricorso a pesanti intimidazioni.


 

Centro operativo della cosca era Ponte San Giovanni, paesino appena fuori Perugia. Punto di ritrovo per le riunioni erano il bar Apollo 4 e il ristorante La Piscina poi un appartamento sempre a Ponte San Giovanni, utilizzato per prostituzione e spaccio di cocaina, un pub e due capannoni industriali. L’inchiesta denominata “Quarto passo” ha sgominato una vera e propria succursale della criminalità organizzata calabrese.

 

"Siamo della 'ndrangheta, siamo calabresi". Così si presentavano a imprenditori e commercianti umbri, ai quali, in cambio della mazzetta offrivano la loro “protezione” e, chi non pagava, si è visto recapitare teste mozzate d’agnello o taniche di benzina. La minaccia era sempre la stessa “ in Calabria è consuetudine murarli nelle gettate di cemento”. L’associazione sgominata dagli inquirenti era affiliata ai clan di Cirò e Cirò Marina. Tra gli arrestati i fratelli Vittorio e Vincenzo Farao, figli di Silvio Farao e cugini di Giuseppe Farao, considerati i reggenti della cosca.

 

Procuratore Roberti - “Autentica holding criminale. I soggetti provenienti dalla zona di Cirò e Cirò Marina avevano collegamenti dimostrati con le cosche dei luoghi di origine”, ha precisato il procuratore confermando il ”principio della sostanziale unitarietà della ‘ndrangheta”. “Mi preme sottolineare – ha aggiunto Roberti – che l’intervento è stato estremamente tempestivo perché questo gruppo era in espansione in termini imprenditoriali. Mi ha colpito l’interesse, ad esempio, nel settore del fotovoltaico. Questo – ha sottolineato – è un aspetto molto delicato e noi come procura antimafia siamo molto impegnati per fermare le infiltrazioni delle organizzazioni della criminalità nei settori più avanzati”. L’inchiesta, spiegano gli investigatori, “ha documentato le modalità tipicamente mafiose di acquisizione e condizionamento di attività imprenditoriali, in particolare nel settore edile, anche mediante incendi e intimidazioni con finalità estorsive”.

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