Minniti: «La firma contro la ‘ndrangheta è un giuramento pubblico da non tradire» (VIDEO)

Nel sottoscrivere a Reggio il registro di Cittadinanza attiva, il ministro dell’Interno ha lanciato il suo monito: «Se c’è qualcuno che non è convinto, può anche esimersi»
di Mario Meliadò
18 dicembre 2017
17:55

Il Prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari gli aveva appositamente lasciato spazio e onore della prima firma: e stamattina (giusto qualche ora prima del comandante dell’Arma dei Carabinieri, generale Tullio Del Sette) il ministro dell’Interno Marco Minniti ha apposto la propria sottoscrizione al registro di cittadinanza consapevole “Cittadinanza Attiva”, fortemente voluto dall’avvocato Giovanna Cusumano (già consigliera comunale), dalla Procura (in particolare, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo, titolare d’inchieste dirompenti come Meta circa le relazioni pericolose tra ‘ndrangheta, massoneria, politica e affari) e dalla stessa Prefettura reggina, e lanciato in pompa magna durante un’iniziativa pubblica al Teatro comunale “Francesco Cilea” all’insegna dello slogan Una firma contro la ‘ndrangheta.

 


La firma è arrivata davanti a parecchi alunni (una delle quali colta da un lieve malore durante lo speech di Minniti), tanti magistrati (non ultimo il presidente della Corte d’appello di Reggio, Luciano Gerardis, da sempre assai impegnato sul tema della partecipazione civica e della propalazione di riti e temi della Giustizia su scala più ampia) e numerosi amministratori locali. Tanti sindaci tra quei 51 amministratori del Reggino che, nei giorni scorsi, proprio al componente reggino del governo Gentiloni avevano scritto una missiva chiedendo interazione, fin qui non effettuata, su quello che ritengono un esageratissimo numero di Comuni calabresi, e del comprensorio metropolitano in particolare, sciolti per infiltrazioni mafiose.

 

 

«La mafia si può battere», ha ribadito dal canto suo il titolare del Viminale nel sottoscrivere il Registro lanciato con la campagna Una firma contro la ‘ndrangheta, osservando come oggi, con simboli importantissimi nel contrasto ai clan come la morte in cella di quello che si riteneva il Capo dei Capi di Cosa nostra, Totò Riina, l’obiettivo sia qualcosa di concreto, tangibile e vicino nel tempo, diversamente dalla petitio principii comunque già scandita coraggiosamente da magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e il “nostro” Antonino Scopelliti, che pagarono con la vita la propria scelta di campo.

 

E poi il monito etico del ministro Minniti: «Non si creda che questa sia una firma da apporre a cuor leggero… se c’è qualcuno che non è convinto, può anche esimersi e sarà meglio così. Perché chi firma deve sapere una cosa: che firmando, sta effettuando un giuramento pubblico».

Giornalista
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