Il caso Porcaro

Mi pento e poi ci ripenso, la retromarcia “in diretta” del boss di Cosenza: «Così almeno state tutti sereni»

Da un colloquio con i suoi familiari intercettato in carcere, ad agosto del 2023 i magistrati della Dda di Catanzaro hanno appreso in anteprima della volontà di Roberto Porcaro di non collaborare più con la giustizia

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di Marco Cribari
2 novembre 2024
10:40

La sua abiura diventa ufficiale il 18 settembre del 2023, ma che Roberto Porcaro non avesse più intenzione di collaborare con la giustizia, i magistrati della Dda di Catanzaro lo apprendono venti giorni prima. È il 29 agosto, infatti, che il boss cosentino, vice di Francesco Patitucci nella confederazione di sette clan teorizzata nell'inchiesta “Reset”, manifesta ai familiari la volontà di ritrattare su tutta la linea le dichiarazioni rese in poco più di cinque mesi.

«Ho sbagliato, ho avuto un momento di debolezza» spiega in quel colloquio carcerario, intercettato dagli investigatori. «Così almeno so che voi avete la serenità», aggiunge, per concludere poi con una riflessione esistenziale: «Non posso stravolgere la vita a nessuno». Assicura, inoltre, di voler tornare al cospetto dei magistrati per raccontare «la verità», che nella sua nuova e personale accezione equivale a dire: mi sono inventato tutto.


Per i magistrati che hanno ascoltato quell'intercettazione, si è trattato di una conferma. Non a caso, già da tempo a Catanzaro si nutrivano dubbi sull'affidabilità di quel pentito sul quale, in precedenza, erano riposte grandi aspettative. Il ruolo di peso da lui giocato nella malavita di Cosenza lascia presagire, infatti, dichiarazioni che avrebbero affossato definitivamente l'organizzazione criminale. E invece, alla resa dei conti, il suo contributo si rivelerà “timido”.

Per come la vedono i magistrati, Porcaro offre conferme sui capi d'imputazione che riguardano lui e gli altri indagati, in particolare quelli rispetto a cui la Dda ha già raccolto una mole di indizi rilevanti. Ammette l'evidenza, insomma, ma quando si tratta di aggiungere qualcosa di nuovo, il suo narrato si fa «generico e impreciso». Chi lo ascolta, inoltre, ha il presentimento che, laddove possibile, tenti «di alleggerire» la propria posizione e quella di altre persone a lui vicine, ridimensionandone ruoli e responsabilità. Gli inquirenti, che lo scrutano nel profondo, ritengono che sia mosso dalla finalità di tutelare anche i «propri interessi economici».

La madre di tutti i sospetti, però, ha a che fare con l'omicidio di Giuseppe Ruffolo di cui è ritenuto mandante. L'accusa gli piove addosso quando lui è già in carcere per “Reset” e, secondo i magistrati, è la molla che lo induce a collaborare con la giustizia. Il fatto che, anche da pentito, rifiuti di ammettere il proprio coinvolgimento in quel delitto datato 23 settembre 2011, viene interpretato come il segnale più evidente della sua «cattiva volontà».

È sulla scorta di questa diffidenze che le posizioni si dividono, si allontanano sempre di più, e il 18 settembre del 2023, si separano definitivamente. Per la vicenda Ruffolo, dopo essere stato indagato per sei mesi a piede libero, Roberto Porcaro ha ricevuto, proprio nei giorni scorsi, un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il prossimo 7 novembre, il suo difensore Mario Scarpelli porterà il caso all'attenzione del Tribunale del riesame.

Giornalista
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