Mafia capitale, assoluzioni confermate in appello per due calabresi coinvolti

La storica sentenza della Corte d’Appello ha però ribaltato il verdetto di primo grado per molti degli accusati riconoscendone l’associazione mafiosa. Il procuratore Pignatone: «Era mafia ma Roma non è Reggio Calabria»

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di Redazione
12 settembre 2018
11:00

La Terza Sezione Penale della Corte d’Appello di Roma ha confermato le assoluzioni di Rocco Rotolo (difeso dagli Avv.ti Davide Vigna e Roberta Giannini) e Salvatore Ruggiero (difeso dagli Avv.ti Guido Contestabile e Alessandro De Federicis), accusati di far parte dell’associazione mafiosa “Mafia Capitale”.
I due, originari di Gioia Tauro ma da tempo residenti a Roma, erano stati tratti in arresto l’11 dicembre 2014 con l’accusa di partecipazione al cosiddetto “Mondo di Mezzo”; secondo il pm, la loro presenza nell’ambito dell’associazione avrebbe dovuto costituire prova sintomatica dei collegamenti della cupola Romana con ambienti di criminalità organizzata calabresi.


Dopo il giudizio di primo grado, la cui sentenza era stata pronunciata il 20 luglio 2017, gli stessi erano stati assolti con la formula “per non aver commesso il fatto” e scarcerati dopo più di due anni e mezzo di custodia cautelare in carcere, essendo state accolte le tesi difensive con le quali si dimostrava l’insussistenza dei collegamenti ipotizzati dalla Procura romana.


 

Momento storico

La sentenza di ieri della Corte d’Appello segna un momento storico, visto che i giudici hanno ridotto in appello le condanne per Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, ma hanno riconosciuto l'associazione mafiosa dell’organizzazione, ribaltando così quanto deciso in primo grado.

Le condanne

I giudici hanno riconosciuto l'associazione a delinquere di stampo mafioso, l'aggravante mafiosa o il concorso esterno, a vario titolo, oltre che a Carminati e Buzzi, anche per Claudio Bolla (4 anni e 5 mesi), Riccardo Brugia (11 anni e 4 mesi), Emanuela Bugitti (3 anni e 8 mesi), Claudio Caldarelli (9 anni e 4 mesi), Matteo Calvio (10 anni e 4 mesi). Condannati anche Paolo Di Ninno (6 anni e 3 mesi), Agostino Gaglianone (4 anni e 10 mesi), Alessandra Garrone (6 anni e 6 mesi), Luca Gramazio (8 anni e 8 mesi), Carlo Maria Guaranì (4 anni e 10 mesi), Giovanni Lacopo (5 annu e 4 masi), Roberto Lacopo (8 anni), Michele Nacamulli (3 anni e 11 mesi), Franco Panzironi (8 anni e 4 mesi), Carlo Pucci (7 anni e 8 mesi) e Fabrizio Franco Testa (9 anni e 4 mesi).

Le parole di Pignatone

Tra le numerose reazioni provocate dalla sentenza spicca quella del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che dalle pagine del Corriere della Sera e di Repubblica ha ribadito che «Roma non è Reggio Calabria ma era mafia e l’abbiamo sempre sostenuto». Pur essendo il "Mondo di mezzo" «un gruppo che utilizzava il metodo mafioso – ha proseguito -, questo come gli altri gruppi inquisiti o condannati per associazione mafiosa, dai Fasciani agli Spada, ai Casamonica, non sono paragonabili a Cosa nostra, alla 'ndrangheta o alla camorra. E Roma - ha affermato parlando con il Corriere - non è Palermo, né Reggio Calabria né Napoli. L'abbiamo sempre sostenuto, anche nel parere contrario allo scioglimento del Comune per mafia» ha detto il procuratore.

 

«Riconosciuta la "mafiosità"»

Quello che contraddistingue la “mafiosità” del gruppo di Carminati e Buzzi «non è il controllo del territorio, ma il controllo di un ambiente sociale, di alcuni settori dell'imprenditoria. La nostra elaborazione avanzata dell'associazione mafiosa – ha continuato - era già basata su alcune pronunce della Corte suprema, che poi l'ha ribadita in altre sentenze. La corte d'appello ne ha preso atto e ha individuato un condizionamento di tipo mafioso».

«Non tutti i traffici di droga ha evidenziato - si possono considerare mafiosi, così come non tutte le corruzioni. Ci dev'essere un condizionamento derivante dal vincolo associativo, ed è necessaria la "riserva di violenza" riconosciuta all'esterno. Detto questo, anche dopo questa sentenza, ripeto che a Roma il problema principale non è la mafia».

 

«Solo un tassello»

Secondo Pignatone il problema si può individuare «in quell'insieme di reati contro la pubblica amministrazione e l'economia che va sotto il nome di corruzione ma comprende le grandi bancarotte, le grandi frodi fiscali, le grandi turbative d'asta e fenomeni correlati. La cifra di una metropoli come Roma è la complessità, anche sotto il profilo criminale. Mafia capitale è solo un tassello di un mosaico molto più grande e complicato».

 

«Ero contrario allo scioglimento del consiglio comunale»

E ancora: «Io fui il primo - ha incalzato - dopo gli arresti, a esprimere parere contrario allo scioglimento per mafia dell'assemblea capitolina. Proprio perché sostenevo che la peculiarità di Mafia Capitale era tale che si poteva ritenere cessata l'associazione mafiosa nel momento in cui era stata disarticolata».

 

«Mafia cessata con gli arresti»

Ha fatto discutere la decisione della Corte di Appello che, pur riconoscendo il reato più grave di associazione mafiosa, ha poi ridotto le pene: «Le pene per il 416 bis sono state modificate in senso più afflittivo successivamente agli arresti del dicembre 2014. Noi abbiamo ritenuto che le nuove pene, più alte, potessero applicarsi perché ritenevamo che l'associazione a delinquere, formalmente, dovesse essere considerata "attiva" fino al pronunciamento della sentenza di primo grado. L'Appello, al contrario, penso abbia ritenuto che Mafia Capitale sia cessata al momento degli arresti e dunque che il calcolo delle pene andasse fatto con le vecchie norme», ha concluso Pignatone.

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