Processo Maestrale

Le cartucce al Club Med di Pizzo e il chiarimento a mano armata: il pentito racconta affari e doppiogiochismo dei clan

L’intervento del boss Damiano Vallelunga dopo l’intimidazione al villaggio turistico, il controllo mafioso a Briatico e quella volta che Barbieri e Bonavita cercarono di fregare la famiglia del collaboratore Accorinti. Che confessa: «Ero dipendente dalla cocaina come molti del mio gruppo»

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di Giuseppe Baglivo
14 settembre 2024
15:45

L’egemonia mafiosa su Briatico contesa con inganni e doppi giochi al fine di scalzare il potere del clan Accorinti. A svelare inganni e strategie, il collaboratore di giustizia Antonio Accorinti che sta deponendo dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia nel maxiprocesso nato dalle operazioni Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium. 

Vengono così alla luce i retroscena sulla bomba fatta esplodere al lido Green Beach, struttura gestita dalla famiglia Accorinti a Briatico. «Una sera ci chiamò il proprietario di una struttura accanto al Green Beach avvertendoci che nel nostro lido era scoppiata una bomba ed erano arrivati i carabinieri. Mio padre, Antonino Accorinti, e Pino Bonavita, appresa la notizia, erano a dir poco furiosi. Dopo tre giorni arrivarono in piazza a Briatico Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, e Nazzareno Colace di Portosalvo. Fermarono me e mio cognato Salvatore Muggeri – ha ricordato Accorinti – chiedendoci se avevamo mai avuto dei problemi con Domenico Pardea, informandoci che era stato lui a mettere la bomba al Green Beach in quanto diceva che vantava un debito con gli Accorinti, mai saldato, per la cessione di marijuana. Ho così scoperto che Armando Bonavita, figlio di Pino Bonavita, e Salvatore Muggeri avevano preso della marijuana da Domenico Pardea non saldando il debito e da qui la reazione di Pardea che aveva deciso di far esplodere una bomba al lido sulla spiaggia di Briatico. Quando mio padre ha scoperto tale verità ha tentato di menare sia Muggeri che Armando Bonavita avvertendoli poi duramente di non permettersi mai più di dire bugie a Pantaleone Mancuso. Ho poi saputo che Muggeri e Bonavita hanno saldato il debito con Pardea». 


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L’incendio a Punta Safò

In altra occasione, invece, si è registrata una “strategia” criminale messa in piedi dal boss di Pannaconi, Francesco Barbieri, e dal capo dell’omonimo clan di Briatico, Pino Bonavita, per ingannare gli Accorinti e metterli in difficoltà. «Il nostro gruppo – ha svelato il collaboratore – controllava a Briatico il villaggio Baia Safò del marchese Bisogni quando proprio qui è stato incendiato un garage. Pino Bonavita mi invitò a raccontare l’accaduto a mio padre, durante i colloqui carcerari, visto che si trovava all’epoca detenuto. Mio padre, appresa la notizia, mi disse di andare a parlare con Francesco Barbieri a Pannaconi ed io così feci. Quando ho incontrato Barbieri, lui era armato e mi disse che a provocare l’incendio a Baia Safò era stato Pino Pugliese, detto Puricino, residente a Sciconi. Insieme a Pino Bonavita mi invitò di andare a sparare nelle gambe a questo Pino Pugliese. Io però – ha raccontato Accorinti – senza dir loro nulla ho preferito incontrare Pugliese il quale mi disse che non aveva nulla a che fare con l’incendio. Ho così capito che si trattava solo di una manovra messa in piedi da Barbieri e Bonavita per prendere tutto il potere a Briatico approfittando dello stato di detenzione di mio padre». 

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Il Club Med nel mirino e il confronto armato

Un altro episodio avrebbe poi rivelato il doppio gioco di Francesco Barbieri e Pino Bonavita nei confronti degli Accorinti che vantavano invece una solida alleanza con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. «Un giorno Saverio Prostamo di Briatico, legato al mio gruppo e che faceva il guardiano al Club Med di Pizzo – ha raccontato Antonio Accorinti – è venuto a trovarmi dicendomi che aveva trovato delle cartucce e un accendino posizionati vicino il ristorante del villaggio. Io sono quindi andato subito a Nicotera Marina per riferire l’accaduto a Tita Buccafusca, moglie di Pantaleone Mancuso che in quel periodo si trovava ristretto in carcere. A casa di Tita Buccafusca, insieme a lei c’era il fratello Giovanni. Appena rientrato a Briatico sono stato però avvicinato da Francesco Barbieri, Pino Bonavita e Nicola Fusca, quest’ultimo di San Marco di Cessaniti, che mi hanno chiesto i motivi per i quali mi ero recato da Tita Buccafusca, rimproverandomi perché secondo loro non sarei dovuto a Nicotera. Abbiamo così deciso di fissare un incontro per la stessa sera nel cortile dell’Eden Park di Portosalvo per chiarire la situazione. All’appuntamento io mi sono recato armato e una pistola ho visto che aveva pure Francesco Barbieri. C’erano pure Pino Bonavita e Nicola Fusca e qui Barbieri mi disse che la zona del Club Med era di competenza degli Anello di Filadelfia e di Damiano Vallelunga di Serra San Bruno e che io dovevo riferire tutto solo allo stesso Barbieri in quanto era lui a fare le veci degli Anello e dei Vallelunga e a parlare in nome e per conto loro. Non ho creduto a quanto diceva Franceso Barbieri – ha svelato il collaboratore – ed infatti ho poi incontrato Damiano Vallelunga in Tribunale a Vibo e lui mi disse di guardarmi sia da Francesco Barbieri che da Pino Bonavita in quanto facevano il doppio gioco e l’accendino e le cartucce al Club Med erano stati posizionati non per fare un dispetto a mio padre, Nino Accorinti, ma erano invece  indirizzati esclusivamente a Pantaleone Mancuso». 

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La dipendenza dalla cocaina

Secondo Antonio Accorinti, molti dei sodali dei clan di Briatico e dintorni facevano uso personale di cocaina, ma a “pagarne” le conseguenze sarebbe stato il solo futuro collaboratore. «Ho iniziato a fare uso di cocaina e a diventarne dipendente – ha raccontato Accorinti – ma non ero il solo, poiché in molti a Briatico nel gruppo ne facevano uso. Quando mio padre scoprì la mia dipendenza mi ha estromesso da tutti gli affari e io sono andato a disintossicarmi in un centro di recupero e ne sono uscito guarito e pulito. Non ero però il solo a farne uso, poiché dipendente dalla cocaina era pure Armando Bonavita. Però a Briatico passavo soltanto io come tossicodipendente, ma non era così. Mi presi la “rivincita” quando parlando con Francesco Barbieri e Pino Bonavita, che sottolineavano la mia dipendenza dalla cocaina, dissi loro che se erano così interessati alla cosa potevo indicargli io il centro di recupero per i loro sodali, visto che era noto facevano uso di droga ed era meglio invece si disintossicassero. Io ne ero invece già uscito da un pezzo ed il problema non era più il mio, ma il loro. Dissi ciò per provocarli e per fargli capire che ero ben a conoscenza dello stato di tossicodipendenza da parte delle persone a loro vicine, come Armando Bonavita, e per le quali avrebbero fatto invece bene a preoccuparsi, smettendola una volta per tutte di indicare solo me come dipendente dalla cocaina».  

 

Giornalista
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