Dal carcere alla panchina, la società conferma Iannì: «Ok dal pm della Dda»

La ReggioMediterranea comunica di aver incontrato il sostituto procuratore antimafia Musolino. Klaus Davi durissimo: «È una tesi molto pericolosa»
di Redazione
23 novembre 2017
11:35
L’allenatore Iannì e il pm Musolino
L’allenatore Iannì e il pm Musolino

Impazza la polemica, dopo l’articolo a firma di Consolato Minniti, apparso su lacnews24.it, in cui si dava notizia del ritorno in panchina di Natale Iannì, allenatore condannato sia in primo grado che in appello per associazione mafiosa. Dopo le pesanti prese di posizione di tre parlamentari, che hanno chiesto l’intervento della Figc e della Lega Dilettanti, ora si registra un duro botta e risposta fra la società e Klaus Davi, il massmediologo che, per primo, ha ripreso la notizia di LaC.

Iannì si dimette, ma viene confermato

In primis, un comunicato della società, annuncia le avvenute dimissioni di Natale Iannì. Una scelta che è stata respinta «dal direttivo, senza alcun indugio». La società spiega nel suo comunicato che la decisione di affidare l’incarico a Iannì avviene dopo che il giorno prima, ossia l’otto novembre, lo stesso ottiene l’autorizzazione della Corte d’Appello a sfruttare l’opportunità di reinserimento lavorativo. «Gli stessi dirigenti – si legge – hanno agito in buona fede e con la consapevolezza che tale scelta avrebbe potuto urtare la sensibilità dei benpensanti per i quali chi ha sbagliato debba essere definitivamente emarginato».


L’appoggio del pm antimafia

Nella giornata di ieri, però, il presidente Bruno Leo ha chiesto e ottenuto un incontro con il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino, ossia colui che – contrariamente a quanto riferito dalla stessa società – non ha fatto condannare (questo lo fanno i giudici del collegio e della Corte), ma ha indagato a portato a processo Natale Iannì, chiedendone la condanna. Ed è qui che accade quel che non ti aspetti: il sostituto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria affida al presidente Leo delle dichiarazioni da riportare agli organi di stampa. Fatto ovviamente inconsueto, per un pubblico ministero. Ma tant’è. Ecco cosa viene riportato nel comunicato della società, come virgolettato del magistrato: «Sono assolutamente favorevole alla scelta fatta dalla Reggiomediterranea nel dare una possibilità al signor Iannì di reinserirsi in una società che spesso discrimina soggetti coinvolti in vicende giudiziarie e non condivido assolutamente la logica che chi ha subito una condanna debba essere emarginato per sempre. Compito della giustizia è si quello di condannare ma anche quello di permettere il reinserimento dei soggetti nella vita civile. Pertanto, augurando al signor Iannì di dimostrare tutto il suo valore di allenatore e mettere in pratica le proprie competenze calcistiche, rimango a disposizione di tutti gli organi di stampa per avere la possibilità di esternare il mio pensiero riguardo questa vicenda che secondo me ha del grottesco». Alla luce di ciò – avendo cioè ottenuto la “benedizione” di un pm – la società ha deciso di continuare il rapporto di collaborazione con il tecnico.

Parole obiettivamente difficili da comprendere, considerato che Natale Iannì non ha mostrato alcuna dissociazione dalla ‘ndrangheta. Elemento questo imprescindibile per poter iniziare a parlare di reinserimento sociale, specie quando si ha a che fare con dei giovani atleti.

«Una tesi molto pericolosa»

Sul punto, è intervenuto duramente Klaus Davi, che non ha lesinato critiche durissime alle parole del pm Musolino: «Premesso che Stefano Musolino è uno dei migliori magistrati sulla piazza e le sue formidabili inchieste parlano per lui (non ha avuto problemi a schiaffare in guardina l’allenatore della ‘Ndrangheta, per capirci ), ci permettiamo di dissentire totalmente – spiega Davi – dalle sue tesi in merito al caso del mafioso-ndranghentista Iannì Natale espresso nel comunicato divulgato dalla società Reggio Mediterranea per suo conto. Una tesi molto pericolosa che potrebbe provocare un cortocircuito non da poco e che non è stata a nostro avviso adeguatamente ponderata. Il Coni nel suo statuto pubblicato in tutte le sedi e corroborato da numerose iniziative con il Miur e con altre istituzioni anti mafia -come Libera per esempio- , codifica in modo indelebile ed giuridicamente inequivocabile che lo sport “ha come tale una valenza pedagogica ed educativa oltre che una funzione sociale di inclusione.” Ora, pur con tutta la stima per Musolino, un fine giurista e sempre in prima linea contro la mafia, mi si deve spiegare come la funzione educativa prevista dal Coni possa essere esercitata da un mafioso costantemente e sistematicamente a contatto con minori e giovani che non ha mai dico mai preso minimamente le distanze dalla ‘Ndrangheta?». Davi si domanda cosa risponderebbe Iannì alla domanda dei suoi giocatori su cosa pensi della ‘ndrangheta. «Il mafioso Iannì può fare il panettiere, il carpentiere, il barista, l’idraulico, l'elettricista ma non può in nessun modo esercitare la delicata e formativa professione di allenatore di calcio in quanto il suo essere “orgogliosamente mafioso” sancito da una ostinata omertà, atteggiamento tipico di chi vuol accrescere la propria reputazione criminale è totalmente incompatibile con la greca Paideia».

Adesso cosa succederà?

Sarebbe curioso capire cosa ne pensa di tutta la vicenda l’ex capo dell’ufficio requirente di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, oggi procuratore nazionale antimafia, che proprio qualche tempo fa aveva rivelato di aver dovuto abbandonare la sua passione per il tennis, per il pericolo di essere accostato a persone collegate alla ‘ndrangheta nelle sue varie forme. C’è da scommettere che la vicenda non finirà certamente qui: c’è infatti l’impegno di tre parlamentari a portare il fatto nelle sedi competenti. Dall’altra parte c’è la scelta di una società di portare avanti il proprio progetto tecnico con Iannì, forte dell’appoggio di uno dei magistrati più importanti della Dda reggina, che in questi mesi sta rappresentando l’accusa nel maxi processo “Gotha”, ossia ai livelli più alti della ‘ndrangheta dello Stretto.

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