Le motivazioni

Da piccolo «clan di paese» a vertice del Crimine cirotano. Il «triumvirato» che ha fatto la storia della ‘ndrangheta crotonese

L’ascesa della cosca Farao-Marincola trova il sigillo della Corte di Cassazione. La ribellione di due giovani «dissidenti», ascesa e caduta di Nick Aloe. Il potere economico e politico di un clan disarticolato da un’inchiesta «monumentale»

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di Alessia Truzzolillo
16 settembre 2024
20:01

Da piccolo «clan di paese» ad articolazione di ‘ndrangheta a capo di uno «specifico Crimine cirotano». L’ascesa della cosca Farao-Marincola è ora cristallizzata nelle sentenza della Corte di Cassazione che lo scorso 6 giugno ha comminato una pioggia di condanne nei confronti di appartenenti e sodali della cosca fondata dal «triumvirato» dei fratelli Giuseppe Farao (quale «criminale-capo società»), Silvio Farao e Cataldo Marincola. 
Quarantadue condanne sono diventate definitive, così come sette assoluzioni, mentre un nuovo giudizio d’appello attende 13 persone. Sono diventati irrevocabili i 20 anni di carcere inflitti a Vittorio Farao, figlio del boss Silvio, e a Salvatore Morrone, così come gli 8 anni di reclusione inflitti a Roberto Siciliani, ex sindaco di Cirò Marina, e all'imprenditore Franco Gigliotti.

La ‘ndrina di paese e i due giovani dissidenti

Con questo primo sigillo su un’inchiesta che portò, su impulso della Dda di Catanzaro, a 169 arresti, nel 2018, da parte dei carabinieri, la Cassazione riannoda i fili della storia di una cosca capace di ramificazioni in Lombardia e Germania. La narrazione parte dal 1977, anno in cui l’organizzazione ‘ndranghetistica di Cirò era «una costola distaccata di Reggio Calabria e comandava sui territori di Cirò Superiore e nei comuni limitrofi di Cirò Marina, Cariati, Mandatoriccio, Torretta di Crucoli e Strongoli».
A benedire questa ‘ndrina erano stati Francesco Canale, vertice indiscusso della ’ndrangheta reggina, indicato come il capo di tutta l'organizzazione criminale calabrese, e Francesco Spina, «responsabile dell'area tra il crotonese e il cosentino».
Erano loro che avevano dato l’assenso ad alcuni «giovani dissidenti, Giuseppe Farao e Nicodemo Aloe» per uccidere Giovanni Santoro, vecchio boss della zona che aveva guidato la crescita criminale del piccolo clan di paese.


Ascesa e caduta di Nicodemo Aloe

Il leader ucciso aveva però dei fedelissimi irriducibili che si erano armati per vendicare la morte del vecchio capo. Per sottrarsi alla guerra appena scoppiata, Giuseppe Farao ripara in Germania «favorendo l'ascesa al vertice del sodalizio di Nicodemo Aloe».
Aloe riesce a consolidare l’organizzazione «dandole una forte impronta verticistica» e ad ottenere lo status di locale di ‘ndrangheta in seguito all’eliminazione di Canale e Spina nel 1982.
In seguito Aloe si allea con il locale di Sibari ma la sua stella è destinata ad affogare in quella pozza di sangue che era diventato il territorio Crotonese negli anni Ottanta.
La conduzione dell’organizzazione criminale, infatti, non era vista bene da Giuseppe Farao (auto-confinato in Germania) e da suo fratello Silvio i quali, in combutta con Cataldo Marincola, «ne cagionarono la morte nel 1987, inserendosi nelle lotte intestine sibarite e riacquistando credito presso le più autorevoli famiglie calabresi».

Il triumvirato Farao-Marincola e il Crimine di Cirò

Nasce così il triumvirato Farao-Marincola che negli anni Novanta darà un enorme impulso al locale di ‘ndrangheta. Dall’Alto Ionio le propaggini si estendono in territorio tedesco. Ma non solo. « Nel 1990, i due fratelli Farao e Cataldo Marincola, nell'ambito del conflitto tra il locale di Sibari e la ’ndrina di Corigliano Calabro, autorizzarono l'omicidio di Mario Mirabile (esponente sibarita e storico collaboratore di Nicodemo Aloe) e ne curarono la materiale esecuzione, cosi ottenendo l'unanime rispetto ‘ndranghetistico».

Nasce il Crimine di Cirò che sulla domina costa ionica cosentina sulla Sibaritide, sui i locali di Rossano (a cui era stata imposta la direzione di Nicola Acri) e di Cassano. Nel frattempo viene accertata l’esistenza «delle articolazioni di Casabona e di Strongoli e, anche successivamente, le interazioni con altre organizzazioni ‘ndranghetistiche in Calabria (tra cui quella di Petilia Policastro, riconosciuta da Cirò, e di Belvedere Spinello), la costituzione di un locale a Legnano-Lonate Pozzolo, in Lombardia, e di un altro in Germania». Sono tutte diramazioni della cosca Farao-Marincola. Ed è al Crimine di Cirò che i territori dipendenti devono versare parte dei profitti.

Il potere economico e politico e lo tsunami di un'inchiesta «monumentale»

La cosca si alimenta anche di estorsioni, gestisce traffici lucrosi, appalti traffico di stupefacenti, scambio di armi tra le cosche, oltre a condizionale la vita politica di Cirò.
Gli arresti la scuotono ma l’operazione più imponente porta un nome Dantesco: Stige. Il procedimento, seguito dal sostituto procuratore Domenico Guarascio, regge fino all’ultimo grado di giudizio. I giudici di Cassazione parlano di «monumentale compendio istruttorio». Le indagini dei carabinieri, coordinati dalla Dda di Catanzaro che ricomprende, accanto a plurime fonti dichiarative, gli esiti dell'articolatissima attività captativa, il cospicuo materiale documentarlo e le operazioni sul campo da parte degli investigatori, il tutto legato da condivisibili argomenti di ordine razionale»

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