Crotone, 25 anni fa la protesta della notte dei fuochi per il lavoro “bruciato”: cosa è cambiato?

VIDEO | Era il 6 settembre del 1993, quando i dipendenti della Enichem scesero in strada contro il licenziamento e incendiarono il fosforo sulla statale 106. La città si mobilitò a difesa dell’occupazione. Cosa resta di quel drammatico episodio?

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di Giuseppe Laratta
7 settembre 2018
13:32

Il 6 settembre 1993 non è un giorno qualsiasi per la comunità crotonese: quella notte viene ricordata come la “notte dei fuochi”. Gli operai della Enichem, in segno di protesta per il licenziamento subìto, diedero fuoco al fosforo di quella fabbrica sulla strada statale 106, all'ingresso nord della città. Una città annientata dalla perdita del lavoro, che si riversò in strada, manifestando tutta la rabbia: studenti, lavoratori, lavoratrici, associazioni, persino l'allora vescovo monsignor Giuseppe Agostino si schierò a difesa della città. “La Milano del Sud”, come veniva soprannominata Crotone, vedeva probabilmente l'inizio di una serie di problematiche che l'hanno trascinata tutt'oggi in una situazione dalla quale ancora non riesce ad alzarsi. A 25 anni da quella notte abbiamo chiesto ai crotonesi cosa è rimasto, e la delusione è ancora tanta.


Quello che è emerso dalle interviste è un senso di abbandono, di una trasformazione nel settore lavorativo e nel tessuto sociale: la città è stata invasa dalla disoccupazione, un fenomeno che si è ripercosso anche sulle generazioni successive che stentano a trovare lavoro a Crotone e sono costretti a emigrare in altri lidi, anche all'estero, per poter vivere una vita che si definisca dignitosa. Anche se il pensiero è sempre alla loro città natale, la capitale della Magna Graecia, che ha combattuto, e piano piano si è arresa – sotto alcuni aspetti – a un futuro incerto. Dopo la chiusura delle fabbriche, le istituzioni e la politica hanno cercato di dare un nuovo indirizzo di crescita al territorio, puntando principalmente al turismo, ma anche qui il tutto sembra muoversi a rilento.


 

«E' vero, non ci sono più le fabbriche – ha dichiarato ai nostri microfoni Giuseppe Pipita, direttore del bisettimanale Il Crotonese – però la città, da quella rivolta, ha cominciato a investire su altre risorse. Deve investire ancora tanto, sul turismo soprattutto perchè la risorsa principale che può dare una vera occasione di sviluppo. Ancora si fa poco in questo settore, e quest'anno, con il fatto che non c'è stato un cartellone estivo, lo testimonia. Crotone non ha deciso cosa fare da grande 25 anni dopo, citando il collega Cerminara, si sta specializzando nei servizi del terziario, ma deve capire che non può più dipendere da fabbriche, e deve investire su se stessa».

Venticinque anni fa le immagini e le foto, durante le manifestazioni, mostrano una comunità compatta nel combattere una lotta comune; oggi sembra si sia spento quel “fuoco” che alimentava i cittadini pitagorici. «Si è diviso il fronte comune – conclude il direttore Pipita – adesso ognuno, anche per colpa dei social, la pensa in modo diverso e grida contro l'altro, per cui non si è più uniti per un obiettivo comune. In questo periodo abbiamo la questione aeroporto, ospedale, lo stadio e, su ognuna di queste questioni, si grida uno contro l'altro, se uno partecipa o meno a una manifestazione. Ed è questo lo spirito che si è perso. Le foto delle manifestazioni dovrebbero essere scolpite nella mente delle nuove generazioni che, invece, si preoccupano del like su Instagram o Facebook. Un'altra opportunità, anche a livello di ricerca scientifica, per Crotone è la bonifica: il sindaco dovrebbe spiegare ai cittadini quello che è stato fatto, se è vero che questa bonifica non è effettiva come dice qualcuno. Eni, però, continua a chiudere le porte in faccia alla città». L'augurio è che Crotone possa riaccendere quel fuoco, ritrovare quella unità persa per strada su tutte le problematiche che l'attanagliano: alcune sono state elencate, ma bisogna aggiungere le infrastrutture, la sanità, l'ambiente in generale, ovviamente il lavoro, senza dimenticare la criminalità organizzata. Non è un'utopia, ma con la reale volontà di tutti, gli obiettivi si possono raggiungere. Con la speranza di non dovere aspettare altri 25 anni.

 

Giornalista
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