Inchiesta “Cripto”, si sgretolano le accuse ai fratelli Zindato

Raffica di assoluzioni in appello per i presunti appartenenti alla cosca Caridi-Borghetto-Zindato. Pene ridotte per Francesco e Gaetano Andrea Zindato e per la loro madre, Carmela Nava. Esclusa l’aggravante armata. Assolto anche Domenico Laurendi
di Consolato Minniti
30 novembre 2017
19:22

Sei assoluzioni e riduzioni di pena per tutti. È un processo che regge solo in minima parte alla prova dei giudici d’appello quello scaturito dall’operazione “Cripto”, che negli anni scorsi aveva colpito la cosca Caridi-Borghetto-Zindato, operante nei quartieri di Modena, Ciccarello e San Giorgio.

I fratelli Zindat, i vertici e le assoluzioni

La Corte d’Appello, presieduta da Felicita Genovese (Garreffa e Varrecchione a latere) ha infatti ridotto drasticamente la condanna inflitta in primo grado a Francesco detto “Checco” Zindato e al fratello Gaetano Andrea (difesi dagli avvocati Giuseppe Nardo e Gianfranco Giunta), che passano rispettivamente da 18 anni e 13 anni e 4 mesi di reclusione, a 3 anni e 2 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno. La decisione arriva grazie al riconoscimento della continuazione con altri episodi, e con esclusione dell’aggravante dell’associazione armata per tutti gli imputati. Otto gli anni inflitti, invece, ad Eugenio “Gino” Borghetto, che in primo grado aveva rimediato una condanna a 12 anni di reclusione. Assoluzione piena per Paolo Latella (12 anni in primo grado), Natale Cuzzola (rigetto appello del pm), Domenico Antonio Laurendi (in primo grado 12 anni), Biagio Parisi (6 anni in primo grado), Massimiliano Polimeni (10 anni e 8 mesi in primo grado, difeso dall’avvocato Lorenzo Gatto) e Alessandro Iannì (10 anni e 8 mesi in primo grado, difeso dall’avvocato Emanuele Genovese).


Melina Nava e le altre condanne

È stata ridotta a 5 anni e 4 mesi di reclusione, invece, la condanna per Carmela Maria Nava, madre dei fratelli Zindato, che in primo grado era stata condannata a 8 anni di reclusione. Per lei l’accusa è quella di aver gestito gli affari del clan, risolvendo anche alcuni dissidi interni alla cosca in assenza dei figli finiti in cella tempo prima.

Di seguito le altre condanne: Francesco Laurendi 7 anni (12 anni in primo grado), Giuseppe Laurendi 5 anni (6 anni in primo grado), Rosa Maria Teresa Buzzan 5 anni (8 anni in primo grado), Domenico Varano 6 anni e 8 mesi (10 anni in primo grado), Domenico Barbaro 7 anni (10 anni in primo grado), Cosimo Pennestrì 5 anni (6 anni in primo grado).

La genesi dell’inchiesta

L’inchiesta, come si ricorderà, partì a seguito delle indagini avviate per la scomparsa e l’occultamento del cadavere di Marco Puntorieri, avvenuta nel settembre del 2011. L’uomo, ritenuto appartenente alla cosca, venne condotto in un luogo isolato e poi ucciso, secondo quanto poi accertato dal successivo processo, proprio da alcuni appartenenti al clan, come Domenico Ventura e Natale Cuzzola (condannati in via definitiva) e Domenico Condemi (la cui condanna è stata annullata in Cassazione con successivo nuovo processo di secondo grado).

Da qui sono partite le investigazioni che hanno permesso di ricostruire gli assetti interni alla cosca, gli equilibri esistenti e individuare degli accordi volti a stabilire chi fosse incaricato di consegnare denaro, chi di riceverlo, il tutto per il sostentamento dei detenuti, grazie alla consumazione di altri delitti come il traffico di sostanze stupefacenti, o altri reati contro il patrimonio. E la figura di Domenico Laurendi rappresentava una figura centrale dell’inchiesta, lui che oggi è stato assolto dalla corte d’Appello, così come altri due pezzi da novanta dell’inchiesta, ossia i fratelli Zindato.

Consolato Minniti

Giornalista
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