L’inchiesta

La disperazione dei dipendenti sfruttati a Catanzaro: «Mi devo far prestare soldi, è squallido perché lavoro»

Le «buste paga artefatte» e gli accordi verbali. La richiesta di un aumento di duecento euro: «Non arrivo a fine mese, sto inguaiato». La Procura di Catanzaro: «Condizione di grave difficoltà»

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di Alessia Truzzolillo
31 ottobre 2024
10:45

Pagati poco, meno ferie di quelle previste dal Contratto collettivo nazionale di lavoro, dover dichiarare incidenti domestici in caso di infortuni sul lavoro. Questo sarebbe, secondo la Procura di Catanzaro, il sistema Paoletti nel trattare i dipendenti.
E alcuni di costoro vivevano in stato di bisogno pur avendo un posto di lavoro. Sono queste le condizioni di oltre 60 lavoratori delle aziende facenti capo alla Food and More srl e alla Paoletti spa, secondo le ricostruzioni della Procura di Catanzaro che ha coordinato l’inchiesta denominata Ergon. Undici gli indagati e cinque le misure cautelari eseguite ieri dalla Guardia di finanza di Catanzaro.

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Le «buste paga artefatte»

Il sistema avrebbe dei capisaldi, scrive il pm: «un accordo verbale individuale con il singolo lavoratore per l’attribuzione di una retribuzione omnicomprensiva che prescinde totalmente dalle ore lavorate», tendenzialmente la maggior parte lavorava 55 ore alla settimana «tutti i giorni 08:00- 13:00 e 16:00 - 20:00, escludendo un pomeriggio a settimana di riposo e aggiungendo 5 ore domenicali ogni due settimane». Le buste paga non riportano, scrive l’accusa, il reale monte ore. «Buste paga artefatte», le definisce la Procura di Catanzaro. Un sistema che sarebbe stato portato avanti con l’avallo di Maria Teresa Panariello, Giorgio Rizzuto e Anna Valentino.


Costretto a chiedere denaro in prestito per sopravvivere

Emblematico è il caso di un dipendente, raccontato nella richiesta di misure cautelari, costretto a chiedere un prestito per sopravvivere. L’uomo, a febbraio 2024, si era recato nell’ufficio di Paolo Paoletti per chiedergli un aumento dello stipendio mensile di duecento euro.
Il dipendente, scrive nei brogliacci dell’inchiesta il pm Saverio Sapia, «informava il suo datore di lavoro di trovarsi in una condizione economica di grande difficoltà e che, tutti i mesi, si vedeva costretto a dover chiedere denaro in prestito per poter far fronte alle proprie esigenze e sopravvivere, nonostante non sia disoccupato».

«È una cosa squallida perché lavoro»

«Ogni volta mi devo far prestare i soldi – spiega il dipendente – per arrivare a fine mese... è una cosa squallida perché lavoro...».
«Signor Paolo – dice il lavoratore rivolgendosi a Paoletti – , a me serve lavorare serenamente... cioè io non posso stare con l’ansia».
Il datore di lavoro «nonostante la grave situazione, non aderiva alla richiesta ma gli chiedeva di inviargli un messaggio il lunedì successivo quando gli avrebbe comunicato la sua decisione, in modo da dargli tempo di pensare».

La paura di non rinnovare il contratto

La prima cosa che dice il dipendente mentre si trova davanti a Paoletti è: «Signor Paolo io ho un problema economico […] non arrivo a fine mese... sto inguaiato... volevo chiedere se era possibile un aumento».
Qui si comprende, dalle perplessità di Paoletti, che il dipendente era stato accompagnato in banca, dallo stesso datore di lavoro, per chiedere un prestito.
Ma l’uomo ha «una famiglia sulle spalle» e dice senza remore «a me mi servono duecento euro in più al mese... possiamo fare qualcosa?».
E poi ha paura perché il suo contratto è in scadenza.
«...con voi ho un problema ad essere licenziato?», chiede.
La paura del lavoratore nasce dal fatto che ad altri ragazzi «gli è scaduto il contratto e non gli è stato più rinnovato... gente che lavorava».

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La concorrenza «disumana»

Paoletti non gli risponde né sì né no.
Gli fa una serie di domande: «Tu hai rubato? Hai preso un etto di mortadella? Hai trattato male un collega? sei lavativo sul lavoro? sei lavativo che mandi certificati medici?».
A tutto il dipendente risponde negativamente.
Ed ecco che arriva la parabola: «E allora tu... è lì che tu devi pregare... dico tu come io, attenzione... perché fino a quando mi comporto io bene in questa azienda... a me... se alle spalle mi gridano “al ladro, al ladro” ... io cammino avanti, non mi giro, non sto preoccupato in quel momento... mi spiego cosa voglio dire?».
Il dipendente annuisce, dice di aver mandato curricula ad altri supermercati. Una nota catena gli avrebbe detto di sì ma lui ha rifiutato perché «ci sono delle condizioni... non è tutto oro che luccica signor Paolo se questa cosa è grigia...».

Paoletti appoggia questa visione, definisce certi concorrenti «disumani», persone che «hanno l'abilità... la capacità...di trasmetterti e farti sognare tutto l'oro del mondo» ma poi «dopo due giorni tre giorni quelle promesse non si dimezzano...di più! e la peggiore cosa è quando vieni trasferito... a Reggio Calabria, a Cosenza, e tu rimani come un cetriolo…».
Insomma, in sintesi, la prospettiva per i lavoratori dei centri commerciali calabresi non è rosea da nessuna parte.
Con queste premesse, Paoletti chiede al dipendente di inviargli un messaggio il lunedì successivo per decidere sulle 200 euro in più.

Secondo la Procura di Catanzaro il dipendente «si trova in una condizione di grave difficoltà, che lo porta a dover chiedere, tutti i mesi, prestiti di denaro per far fronte alle spese familiari». E di questo il datore di lavoro è consapevole avendolo «addirittura agevolato nel poter ottenere un prestito».

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