L’iniziativa

Tra le mura del carcere di Corigliano Rossano crescerà l’ulivo della Madonna, simbolo di pace e rinascita

VIDEO | Alla cerimonia di piantumazione voluta da ArcheoClub ha preso parte anche il vescovo Aloise: «Le fronde di questo albero si alzeranno verso il cielo, è un segno di speranza per tutti»

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di Matteo Lauria
12 ottobre 2024
21:33

La casa di reclusione di Corigliano Rossano ha ospitato un evento importante voluto dall’associazione ArcheoClub alla presenza dell’arcivescovo di Rossano-Cariati, monsignor Maurizio Aloise, del direttore del carcere Luigi Spietrillo e della presidente di ArcheoClub Anna Murmuro. Un evento simbolico, intriso di spiritualità, che si inserisce in un contesto più ampio di riflessione sulla pace e la giustizia, temi particolarmente delicati in un momento storico segnato da conflitti globali. Piantumata una pianta di ulivo, varietà Leucocarpa, della Madonna delle carceri.

«Parlare di pace oggi è complesso, ma necessario», ha affermato monsignor Aloise. Nonostante le difficoltà del presente, il vescovo ha sottolineato che la speranza non può essere messa da parte, perché radicata nella fede cristiana. «La nostra speranza non è semplice ottimismo, è fondata su Gesù Cristo», ha spiegato. E proprio questo messaggio di speranza si è voluto trasmettere attraverso la piantumazione dell’ulivo, simbolo di pace e rinascita. «Questo albero crescerà e le sue fronde si alzeranno verso il cielo. È un segno di speranza per tutti, anche per chi si trova in carcere», ha aggiunto.


L’iniziativa di piantare l’ulivo nel carcere di Rossano assume un significato profondo, poiché rappresenta un luogo in cui non si deve perdere la speranza, ma anzi coltivarla. Il vescovo ha evidenziato come il carcere possa essere visto come un luogo deputato alla rigenerazione spirituale e morale. «Qui, più che altrove, è fondamentale parlare di giustizia e di pace, affinché possano germogliare nuove opportunità di vita per chi ha sbagliato», ha affermato.

Il ruolo della Chiesa all'interno delle carceri è stato un altro tema centrale dell'intervento del vescovo, che ha sottolineato come ci sia una "sincronizzazione" tra l'azione pastorale e quella riabilitativa del carcere. «Molti detenuti mi dicono che il carcere è una parrocchia della mia diocesi», ha raccontato monsignor Aloise. La presenza del vescovo e del cappellano nel carcere vuole dunque trasmettere un messaggio di vicinanza e di speranza. Il carcere diventa così un luogo dove i detenuti possono riflettere sui propri errori e lavorare per una trasformazione interiore.

Il vescovo ha poi elogiato le attività rieducative presenti all'interno del presidio, definendolo «una vera e propria parrocchia attiva», dove l'Azione cattolica e numerosi laboratori offrono ai detenuti l'opportunità di crescere spiritualmente e culturalmente. «C’è la scuola, l’università, e tutte queste attività aiutano i detenuti a ripensare alla propria vita, offrendo loro speranza e prospettive per il futuro», ha spiegato.

In chiusura, monsignor Aloise ha parlato dell'incontro con i detenuti condannati con pene definitive. «Vedo in loro un grande desiderio di incontrare il vescovo, come se aspettassero il segno di un fratello maggiore», ha osservato. Il vescovo ha percepito nei loro sguardi e nelle loro parole un bisogno profondo di conforto e di vicinanza, sia umana che spirituale. «Anche chi è destinato a rimanere in carcere per tutta la vita deve poter vedere oltre le mura e coltivare una speranza», ha concluso.

Un simbolo che unisce carcerati e comunità

L’iniziativa si colloca quindi non solo come un atto simbolico di pace, ma come un invito alla riflessione e al cambiamento, un’opportunità di redenzione e di rinascita, dove la fede diventa il motore per un futuro migliore, anche per chi si trova nelle condizioni più difficili. Anna Murmura ha spiegato le motivazioni dietro la scelta del carcere di Rossano come primo istituto penitenziario calabrese a ospitare l'iniziativa. «Abbiamo avviato una richiesta a tutti gli istituti carcerari della Calabria», ha dichiarato. «Il carcere di Rossano è stato il primo a rispondere e ha subito fatto sua l'iniziativa, per questo abbiamo deciso di iniziare qui. Inoltre, a Rossano c’è la Madonna Ghiditria che indica la strada, e questa piantumazione vuole essere un segno per indicarci il cammino da seguire nel nostro impegno di divulgazione culturale».

Il valore storico e simbolico dell'ulivo Leucocarpa è stato al centro del discorso della Murmura. «Questa pianta ha radici antiche, risalenti all’epoca bizantina. Veniva usata principalmente per produrre olio destinato alle lampade votive nelle chiese, perché, a differenza di altri oli, non produceva cattivi odori. Il simbolismo dell’ulivo, invece, risiede nella sua umiltà e semplicità: è una pianta che rappresenta gli ultimi, le persone in difficoltà». Questo legame tra il valore simbolico dell’ulivo e la realtà carceraria è un punto centrale dell’iniziativa, che vuole offrire ai detenuti un segno tangibile di speranza.

«Il coinvolgimento della comunità carceraria è fondamentale per trasmettere un messaggio all’esterno» ha aggiunto Murmura. «Anche coloro che sono in carcere, persone che hanno commesso errori, possono trovare in questa pianta un simbolo di rinascita e di possibilità di cambiamento. Speriamo che una volta usciti possano tornare a contribuire alla società in modo positivo».

L'iniziativa non si limita solo alla piantumazione dell’ulivo, ma si inserisce in un progetto più ampio volto alla valorizzazione della Leucocarpa come patrimonio botanico e culturale della Calabria. La Murmura ha infatti illustrato come, a seguito del lavoro di divulgazione e ricerca avviato dall'Archeoclub, la Regione Calabria abbia promulgato una legge per tutelare questa varietà di ulivo. «Esiste già un processo di protezione avviato dalla Regione, che riconosce l'importanza storica e culturale di questa pianta». Uno dei progetti futuri legati alla Leucocarpa è quello di avviare una produzione più ampia di olio da questo tipo di ulivo, che potrebbe avere interessanti proprietà organolettiche. L’iniziativa si inserisce anche nel contesto di eventi culturali di rilievo. Il 23 novembre, infatti, si terrà il secondo convegno nazionale dedicato all’ulivo della Madonna, questa volta ospitato dalla diocesi di Mileto, con la partecipazione di esperti del Crea e dell’Università della Calabria. «Il nostro obiettivo è quello di lasciare una traccia scritta, con la pubblicazione degli atti del convegno, affinché chiunque in futuro voglia studiare questa pianta possa farlo» ha spiegato la Murmura.

Curare un albero come percorso di rieducazione

L'iniziativa di piantare l'ulivo della Madonna all'interno del carcere di Rossano, accolta con entusiasmo dalla comunità penitenziaria, ha un profondo significato simbolico e operativo, come ha spiegato il Direttore della Casa di Reclusione di Rossano, Luigi Spietrillo. «È un’iniziativa che rafforza il legame tra la comunità penitenziaria e quella esterna», ha dichiarato Spetrillo, sottolineando l’importanza di tali eventi nel creare un ponte tra il carcere e la società, alimentando speranza nei detenuti e dimostrando che esiste una via verso la reintegrazione.

La collaborazione con l’ArcheoClub, che ha proposto la piantumazione dell’albero, è nata quasi per caso, ma è stata subito accolta con convinzione. «Abbiamo risposto all'invito dopo poche ore, tanto che siamo stati il primo istituto penitenziario calabrese ad aderire», ha spiegato il direttore. I detenuti, informati dell’iniziativa, hanno risposto con grande entusiasmo, attratti dall’idea di prendersi cura di un albero, un simbolo di crescita e rigenerazione, sia fisica che spirituale. «Il fatto di poter curare un albero li ha affascinati. Hanno accolto l’iniziativa in modo molto positivo», ha aggiunto Spietrillo.

Il legame tra questa piantumazione e il processo rieducativo all'interno del carcere è evidente: la crescita di una pianta è una metafora del percorso di rieducazione. «Curare un albero richiede pazienza, impegno e costanza, proprio come il lavoro su se stessi che i detenuti devono portare avanti», ha sottolineato Spietrillo. «Questo gesto simbolico rappresenta il lungo e difficile percorso che la rieducazione comporta, ma dimostra anche che è possibile farlo con il sostegno dell’amministrazione penitenziaria».

Nel discorso del direttore emerge con forza l’importanza del lavoro e della cultura come strumenti fondamentali per il processo di recupero. «Il lavoro ha una valenza non solo rieducativa, ma anche nobilitante, insegnando ai detenuti che esiste una via alternativa al crimine». Accanto al lavoro, le attività culturali svolgono un ruolo chiave nella trasformazione delle coscienze. Tra queste, Spietrillo ha menzionato un progetto teatrale in collaborazione con il maestro Adolfo Adamo, che prevede la creazione di una compagnia stabile all'interno del carcere. «Stiamo lavorando intensamente per portare avanti questo progetto, che rappresenterà un fiore all’occhiello per il nostro istituto», ha detto il direttore.

Giornalista
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