Buste con proiettili e foto di Giuseppe Russo alla madre e all'avvocato di famiglia - VIDEO

Il ragazzo venne fatto sparire ed ucciso nel 1994. Il legale ha seguito tutta la vicenda penale e sta proseguendo ora il suo mandato in sede civile
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di Tiziana Bagnato
21 maggio 2018
21:18

Due buste con proiettili e le due metà di una foto di Giuseppe Russo, il ragazzo barbaramente ucciso e fatto sparire nel 1994 ad Acquaro, nel vibonese, sono state recapitate alla madre Teresa Lochiatto e all’avvocato di famiglia Marco Talarico.


La donna ha ricevuto la busta questo pomeriggio intorno alle 14.30 e si è immediatamente messa in contatto con i Carabinieri. Nei giorni scorsi l’altra busta era stata intercettata dal Centro Meccanografico delle Poste di Lamezia. Marco Talarico è il legale della famiglia sin dal principio di quell’odissea che assunse prima i contorni della lupara bianca per poi rivelare una trama sanguinaria e atroce. L’avvocato, dopo avere seguito tutta la vicenda giudiziaria, che si è conclusa in sede penale con la condanna definitiva di mandanti ed esecutori materiali, adesso sta proseguendo il suo mandato in sede civile.


Quando la mafia uccise l'amore

Pino Russo aveva solo ventidue anni e viveva ad Acquaro, piccolo centro del vibonese, quando scomparve misteriosamente dopo avere iniziato da poco a frequentare la cognata del boss Gallace. Una giovanissima donna che nelle mire della ‘ndrangheta doveva essere il gancio per stringere nuove alleanze e creare nuovi ponti all’interno della rete della criminalità organizzata e che non poteva permettersi di innamorarsi di chi voleva.


Uscito di casa per andare a Vibo, Pino non avrebbe mai fatto ritorno dai suoi cari. Si sarebbe scoperto solo dopo, grazie ad un pentito, che era stato attirato in una trappola, ucciso con un colpo di pistola alla testa, gettato in una buca, il suo corpo dato alle fiamme. E mentre il fuoco ardeva, sparato ancora, per sfregio.


Due mesi dopo i suoi resti sarebbero stati ritrovati in una zona impervia di Monsoreto di Dinami. E’ l’ex latitante Gaetano Albanese a confessare e a riconsegnare alla famiglia ciò che rimane del corpo di Pino. E’ lui a raccontare quanto era accaduto, delle dinamiche messe in moto da quell’amore ancora acerbo, appena sbocciato tra Pino e la giovane cognata del boss. Sempre lui a permettere che la vicenda non diventi l’ennesimo caso di lupara bianca.


Condannati mandanti ed esecutori, la famiglia non ha mai smesso di parlare, di raccontare quanto accadutole, di portare il suo messaggio di legalità. Matteo Luzza, fratello di Pino, è responsabile regionale di Libera Memoria, che si occupa proprio di onorare il ricordo delle vittime di mafia. Grazie a lui il nome di Pino continua a risuonare in tutta la Calabria e in tutta Italia.

 

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Giornalista
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