Bossi e Belsito a processo

L'ex segretario della Lega Umberto Bossi e l'ex tesoriere, calabrese, Francesco Belsito sono stati rinviati a giudizio dalla Procura di Genova. L’accusa nei loro confronti è di appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato
di Redazione
6 febbraio 2015
09:50

La procura di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex segretario della Lega Umberto Bossi e l’ex tesoriere, calabrese, Francesco Belsito. L’accusa nei loro confronti è di truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita. La presunta truffa sui rimborsi elettorali ai danni dello Stato è di circa 40 milioni di euro. In particolare Belsito si sarebbe impossessato della somma complessiva di 5,7 milioni di euro. Una prima tranche (pari a 1,2 milioni di euro) sarebbe stata stornata “dal conto corrente della Lega attraverso un bonifico in favore della società inglese Krispa Enterprices della quale Paolo Scala era titolare effettivo, presso la banca di Cipro, somma della quale una parte pari a 850 mila euro è stata restituita nel febbraio 2012”.Un secondo importo (pari a 4.500.000 euro), invce, sarebbe stato trasferito, sempre tramite bonifico, dal conto del Carroccio a quello “intestato a Stefano Bonet presso la Fbme Bank della Tanzania, somma non accreditata per il rifiuto di quest’ultima banca, la quale non aveva ritenuto sufficiente la documentazione allegata, ma restituita soltanto nel febbraio 2012”.


Nella richiesta di rinvio a giudizio si legge: “in concorso tra loro – Umberto Bossi nella qualità di legale rappresentante del partito Lega e Belsito nella qualità di tesoriere nonché Aldovisi, Sanavio, e Turci in qualità di componenti del comitato di controllo contabile di secondo livello, con artifici e raggiri (e in particolare attraverso la redazione e presentazione di irregolari rendiconti degli esercizi 2008, 2009, 2010), traendo in inganno i revisori pubblici nominati dei presidenti della Camera e del Senato deputati al controllo di regolarità di tale rendiconto e traendo in inganno gli stessi presidenti di Camera e Senato che disponevano la liquidazione dei rimborsi, ottenevano la somma di circa 40 milioni di euro”. “Gli artifici e i raggiri – proseguono i magistrati– sono consistiti nel riportare nel rendiconto false informazioni circa la descrizione delle spese sostenute, in assenza di documenti giustificativi di spesa e in presenza di spese effettuate per finalità estranee agli interessi del partito politico in modo tale da non consentire né ai soggetti ingannati né a qualsiasi altro lettore del documento contabile di valutare l’effettiva destinazione delle risorse finanziarie assegnate al partito dallo Stato”.


 

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