La missione di don Tonino Saraco, il nuovo rettore del Santuario di Polsi

“Questa è la nostra sfida più grande. Aiutare, soprattutto i giovani, a comprendere che la ‘ndrangheta non ha in sé niente di buono. Il fenomeno genera solo male”. Sono le parole di don Tonino Saraco, parroco di Ardore, di recente chiamato anche alla guida del Santuario di Polsi
di Rosaria Giovannone
7 febbraio 2017
13:35
Don Tonino Saraco
Don Tonino Saraco

Si estende tra una sottile striscia pianeggiante e un territorio collinare e montuoso, Ardore, un piccolo comune della Locride abitato da circa cinquemila persone. La comunità è guidata da un giovane parroco, don Tonino Saraco. È Ardore il posto dove il Signore l’ha voluto ed è questo il luogo dove ogni giorno si consuma. Il sacrificio è grande e le sfide non mancano.

 


Di recente glien’è capitata una che è valsa la pena accogliere. Mons. Oliva, vescovo di Locri-Gerace, lo ha nominato Rettore del santuario di Polsi. Il presule affermava “il santuario deve essere luogo di spiritualità e fede: è questa la sfida su cui si gioca il futuro del luogo sacro”. Rivolgendosi poi a don Tonino: “dovrai esserne fedele e coraggioso interprete”.


Con prontezza e obbedienza il sacerdote ha accolto l’incarico. È fiducioso don Tonino “Ho il sostegno di mons. Oliva , della Diocesi e di tante persone. Sono sereno perché certo che è il Signore che mi ha chiamato. Mi darà la forza necessaria per portare avanti questa missione”.


Una missione nella missione. Il sacerdote resta infatti parroco di Ardore. Ma chi è Don Tonino Saraco?


Da 16 anni è sacerdote. In passato è stato più volte fatto oggetto di minacce e di intimidazioni durante lo svolgimento del suo ministero. Nell’agosto 2004, quando era parroco a Siderno, gli fecero trovare appesa allo specchietto retrovisore della sua auto una busta di plastica con cinque proiettili di pistola di grosso calibro e un messaggio “se continui così tutti questi colpi te li spariamo in testa”.

 

Sembra che il sacerdote non avesse accettato di favoreggiare un criminale del luogo. Lui ci tiene però a dire: “Non mi sento un prete antimafia, sono un semplice sacerdote”. Chiunque predica il Vangelo e fa della Parola la sua vita combatte contro ogni male. E la ‘ndrangheta è male. Bisogna rieducare le coscienze. Scuoterle perché non restino corrotte da una cultura menzognera”.


Di recente don Saraco è salito anche agli onori della cronaca per l’accettazione di un bene confiscato. Una palazzina di due piani, un tempo proprietà di un boss della ‘ndrangheta di Natile Careri, è stata affidata alla comunità parrocchiale ed è diventata centro di aggregazione sociale. “Non è facile trasformare un bene confiscato in un bene comune”, ha dichiarato don Saraco.


Il luogo che accoglierà una moltitudine di persone, 250 tra ragazzi e bambini, dovrebbe diventare una comunità di vita, di integrazione. Nella struttura, un’ aula è diventata luogo di divulgazione della Parola di Dio. Vengono organizzati dei cicli catechetici. Un’altra sala è stata adibita a oratorio.

 

Abbiamo chiesto al sacerdote se un gesto del genere sia stato compreso: Non tutti hanno appreso che si tratta di un’importante occasione di riscatto per l’intera comunità”, ha affermato.


D’altronde, in una realtà come questa, a volte la ricorrenza, la pesantezza dei fatti può indurre a vedere solo oscurità e a perdere fiducia. È una tentazione a cui bisogna reagire. Sotto la superfice spumeggiante che fa emergere il peggio, bisogna credere che qualcosa di bello brulica. Don Tonino di questo ne è convinto e da anni si batte.


Socializzare, evangelizzare, educare al cambiamento di mentalità, alla legalità, al bene comune, sono parte integrante della missione di don Tonino.


“Nella Locride le difficoltà si acuiscono e si scontrano anche con problemi sociali, culturali, retaggi del passato che mantengono legate le coscienze” ha detto il presbitero.


Quando parliamo di cultura e sociale facciamo riferimento non solo al modo di agire delle persone ma a quello di pensare, di credere, di vedere l’uomo, la società, le relazioni. Quando la cultura diffusa alimenta miti, simboli vuoti non è facile ricondurre l’uomo alla verità, a valori genuini. “Questa è la nostra sfida più grande. Aiutare, soprattutto i giovani, a comprendere che la ‘ndrangheta non ha in sé niente di buono. Il fenomeno genera solo male”, afferma don Saraco.


E così, ogni giorno, il silenzio lascia spazio al combattimento che mira non solo a consolidare il senso civico della legalità ma soprattutto a formare uomini e donne nuovi. La missione è ardua, la battaglia sarà dura ma “vale la pena combatterla per mostrare il volto bello della Chiesa”, ha affermato don Tonino.

 

Rosaria Giovannone

 

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