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Anche il diritto al lavoro si misura con i Lep: l’Autonomia differenziata in Calabria peggiorerà il già critico quadro occupazionale

Intervista alla docente universitaria Lucia Valente (La Sapienza) sulle distorsioni della riforma Calderoli: «I Livelli essenziali di prestazione su questa materia ci sono dal 2018 ma alcune Regioni erogano meno del 50% del minimo richiesto. Con questi numeri i disoccupati sono abbandonati a se stessi»

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di Raffaella  Tallarico
1 ottobre 2024
10:35
Nel riquadro, la docente di diritto del lavoro Lucia Valente
Nel riquadro, la docente di diritto del lavoro Lucia Valente

La determinazione dei Lep è una condizione che la legge sull’autonomia differenziata impone in 14 materie da devolvere alle Regioni. I livelli essenziali delle prestazioni devono essere fissati entro luglio 2026, insieme a una stima dei costi per fornirli. Ma in alcuni ambiti esistono già. Secondo Lucia Valente, professoressa di diritto del lavoro all’università “La Sapienza” di Roma, la gestione regionale di questi settori – con forti divari da un territorio all’altro – offre uno spaccato di come andrà in altre materie trasferibili.

Professoressa, quali materie sono già in tutto o in parte “differenziate”?
«Con la riforma della Costituzione e la modifica dell’art. 117 nel 2001, sono già state devolute alle Regioni numerose materie, tra le quali la tutela della persona nel mercato del lavoro e la tutela della salute, solo per fare due esempi. Le materie a competenza concorrente Stato-Regione sono molte di più».


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Come procede in queste materie?
«Per quanto riguarda il lavoro, di cui mi occupo da anni, i Lep ci sono dal 2018 e sono stati aggiornati con il Pnrr per rendere operativo il programma Gol (Garanzia occupabilità lavoratori, ndr). I dati parlano chiaro: alcune Regioni erogano tutti i servizi – e quindi rispettano i livelli essenziali di prestazioni – e altre, tra cui la Calabria, stanno a meno del 50%. Lo stesso vale per la sanità: ci sono i Lea, ma non mancano i casi di commissariamenti regionali che durano anni, come in Calabria, con molti residenti che decidono di curarsi altrove».

Nell’ambito dei servizi all’occupazione, cosa significa non garantire i Lep?
«Significa non garantire il diritto al lavoro sancito dalla Costituzione. Una persona disoccupata deve essere messa in condizione di cercare attivamente un impiego grazie a efficienti servizi pubblici. Così sarà correttamente informata sulle opportunità di lavoro esistenti nei territori, dei centri regionali per la formazione, delle imprese che assumono e delle competenze che richiedono. In alcuni territori questi servizi vengono garantiti, in altri no».

Oggi come vengono monitorati i Lep?
«È l’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ndr) a occuparsene; purtroppo, i dati richiesti alle Regioni sono spesso incompleti».

Quindi è difficile controllarne l’applicazione nei singoli territori?
«Sì, perché non si riesce a valutare quali servizi relativi ai Lep vengono erogati e in quanto tempo».

E con l’autonomia differenziata la situazione peggiorerebbe?
«Sì, perché con più autonomia, le Regioni hanno più competenze e, quindi, più risorse ma hanno l’onere di rispettare i Lep. Tuttavia, già oggi, nelle matrie di competenza regionale, ci sono territori che non riescono ad erogare tutti i servizi e non forniscono tutti i dati per monitorare i Lep».

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A cosa è dovuto questo divario?
«Il problema è soprattutto nella incapacità politica e amministrativa di mettere a punto un sistema efficiente e nella qualità della classe dirigente».

Che si traduce in un’incapacità di spendere le risorse?
«Esattamente. Regioni come la Calabria, a causa del ritardo nell’allinearsi ai migliori standard europei nei servizi per il lavoro - e non solo in quelli - e del livello di arretratezza, ricevono diversi fondi, per esempio quelli europei per le politiche di coesione. Ammesso che chieda maggiore autonomia, avrà più risorse, ma non è detto che sarà capace di spenderle per dare maggiori servizi ai cittadini».

Secondo lei, l’autonomia differenziata causerà un ulteriore esodo di lavoratori da zone a forte emigrazione economica, come la Calabria?
«Maggiore autonomia non significa maggiore mobilità delle persone: l’esodo c’è da molti anni, e questo vuol dire che il territorio non è attrattivo. È sulle ragioni profonde di questa situazione che bisogna lavorare, e di certo l’autonomia differenziata non risolverà i problemi che da decenni affliggono questa bellissima terra».

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