“Canalone dei veleni” di San Ferdinando, ennesimo rinvio - VIDEO

Salta ancora una volta la prima udienza. Alla sbarra c'è Oreste Tarantino accusato, dalla Procura di Palmi di avere creato in un’area demaniale una discarica non autorizzata
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di Angela  Panzera
8 aprile 2018
10:50

Se ci vuole un anno per celebrare la prima udienza quanto ci vorrà per avere una sentenza? Una sentenza per stabilire se in quel canalone, a due passi dall’area portuale di San Ferdinando, sono stati sversati veleni. Ancora una volta niente da fare per il processo, intentato dalla Procura di Palmi, che vede alla sbarra Oreste Tarantino, in qualità di presidente del consiglio d’amministrazione e legale rappresentante dell’azienda “Coopmar”, società di rizzaggio che opera all’interno dello scalo portuale gioiese. L’udienza che doveva registrare le prime tre testimonianze, è stata rinviata al sei novembre. Esattamente come avvenuto nel novembre però del 2017. Forse a distanza di un anno si potrà svolgere la prima udienza? Si spera; anche perché la mannaia della prescrizione incombe e con essa il rischio di non arrivare alla verità. Ossia se in quel canale stretto pochi metri sono stati sversati, o meno, materiali tossici mettendo a rischio la salute dei cittadini.

 


Il caso del “canalone di San Ferdinando” era stato sollevato nel 2016 proprio da alcuni residenti della zona che costituirono il “Comitato 7 agosto”, dalla data dell’amara scoperta. Si aprì un’indagine e i Carabinieri di San Ferdinando e del Nucleo operativo ecologico, insieme alla Capitaneria di porto gioiese, sequestrarono alcuni capannoni e parte degli impianti della “Coopmar”. Le violazioni contestate riguardano l’illecito smaltimento di rifiuti e il deposito incontrollato di rifiuti. Un’accusa che Tarantino ha contestato con forza nei giorni successivi al sequestro operato dalle forze di polizia.

 

Secondo l’inchiesta della Procura di Palmi, retta da Ottavio Sferlazza, Tarantino è accusato di avere creato in un’area demaniale una discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi e non pericolosi derivanti dagli scarti della manutenzione dei veicoli. In particolare, in un’area adibita a capannone industriale avrebbe sversato e smaltito oli minerali lungo la pavimentazione, nello stesso tempo, avrebbe abbandonato diversi pezzi meccanici, carcasse di mezzi, oli esausti, scarti industriali e fanghi contenenti anche alte quantità di idrocarburi creando una discarica non autorizzata. «Rifiuti che raccoglieva – è scritto nel capo di imputazione – negli spazi adibiti a officina meccanica…e poi smaltiva in un numero indeterminato di volte, attraverso lo sversamento all’interno del tombino per lo scolo delle acque piovane…che a sua volta scaricava nel canale…di collegamento con il cd. “Canalone”…e l’arenile di San Ferdinando/porto di Gioia Tauro». Adesso il processo per il “canalone dei veleni” dovrà aspettare altri sette mesi prima di entrare nel vivo.

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