Il pentito Lo Giudice costretto a mentire? I sospetti nei verbali del pm

L’ex procuratore aggiunto della Dna, Donadio, racconta ai magistrati di Catanzaro i retroscena del suo colloquio investigativo con il “nano” dove questi promise delle foto su “faccia di mostro”, ma inviò solo fogli bianchi. Perché? Ecco i punti oscuri
di Consolato Minniti
21 novembre 2016
10:37

«Lui fece segno con la mano: “Questo ve lo dico dopo”». Lui è il pentito di ‘ndrangheta Antonino Lo Giudice. Dall’altra parte del tavolo c’è l’allora procuratore aggiunto della Dna, Gianfranco Donadio.

 


È il 14 dicembre 2012 e il collaboratore di giustizia viene sentito, per un colloquio investigativo, dal magistrato che si sta occupando di mettere insieme tutti i filoni d’indagine che riguardano il periodo delle stragi di mafia degli anni ’90. È la prima volta che Donadio incontra Lo Giudice. La diffidenza del “nano” è proverbiale e il pm se ne accorge immediatamente. Non sa che, proprio quel colloquio, segnerà una tappa importante della sua carriera.

 

Sarà proprio Lo Giudice, infatti, all’interno di un memoriale, ad indicare Donadio come colui il quale gli chiederà di accusare delle persone e di inviare fittiziamente delle fotografie alla Direzione nazionale antimafia. Per quella vicenda, Donadio querelerà il pentito, che oggi si trova a rispondere delle accuse davanti ai giudici di Catanzaro. Agli atti di questo fascicolo giace anche il verbale delle dichiarazioni rese da Donadio ai pm Dominijanni e Guarascio. Sono 95 pagine che pesano come macigni, perché svelano retroscena sino ad oggi rimasti sconosciuti. Uno su tutti: è vero, Lo Giudice disse di dover consegnare delle foto riguardanti “faccia di mostro” al pm della Dna. Ma nell’ufficio di via Giulia arrivò soltanto un plico con dentro dei fogli bianchi. Il pentito non mantenne la promessa o qualcuno sostituì il contenuto? È la domanda alla quale neppure Donadio riuscirà a dare una risposta precisa, salvo indicare alcuni aspetti inquietanti – almeno tre – emersi dalla ricostruzione degli spostamenti del collaboratore di giustizia, di rientro dal colloquio investigativo. Eccoli: il pentito fu lasciato solo durante una sosta in autogrill; aveva la disponibilità di un telefono cellulare con cui poteva comunicare liberamente; nel video girato e poi inviato a più soggetti, si nota Lo Giudice come se fosse in compagnia di una persona che lo guidava.

 

Villani e l’omicidio Fava-Garofalo. Ma facciamo un breve passo indietro. Perché Donadio decide d’incontrare Lo Giudice? Il nome del “nano” viene fuori grazie ad un altro collaboratore di giustizia, Consolato Villani, cugino di Lo Giudice ed autore materiale del duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo, trucidati nel 1994 sull’A3. Villani fu condannato in via definitiva per quel delitto, insieme a Giuseppe Calabrò. Il processo raccontò di un carico di armi intercettato dai carabinieri che, per questo, furono fatti fuori. In realtà, i riscontri incrociati di diversi pentiti – fra cui Gaspare Spatuzza – fanno rientrare questo evento in una strategia ben più ampia di destabilizzazione, portata avanti da Cosa nostra e ‘ndrangheta. Ed è Villani ad indirizzare Donadio verso Lo Giudice. Il “nano” si mostra gelido: «Quando avvennero gli episodi in danno dei carabinieri io ero detenuto nel carcere di Palmi e non ero al corrente di alcun progetto. I fatti mi furono riferiti dopo la mia scarcerazione». Poi il colpo di scena: mentre l’ufficiale di polizia giudiziaria redige il verbale e lo legge, Lo Giudice si rivolge a Donadio con dei gesti eloquenti che significano: «Questo ve lo dico dopo».

 

Dici “faccia di mostro” e tutto cambia. Il magistrato intuisce che c’è un’apertura. Si prosegue e la domanda diretta arriva: conosce un personaggio con una faccia sfigurata? «Qui – racconta Donadio – Lo Giudice comincia a cambiare atteggiamento e ricordo bene che dice: “Al momento non ricordo”». Prende tempo. Ma di tempo ce n’è pochissimo. Donadio lo incalza e Lo Giudice sbotta: «Io credo che il personaggio con il volto sfregiato sia molto pericoloso». Soggiunge: «Dottore, è un cane». È chiaro a tutti, allora, che Lo Giudice conosce bene “faccia di mostro”. Donadio non si accontenta e il pentito prosegue: «Quando dico questo è perché ho appreso che questo personaggio era stato coinvolto in eventi stragisti dove sono state colpite anche persone innocenti e questo è contro le regole della ‘ndrangheta». Donadio sente di aver fatto centro. Lo Giudice è un fiume in piena e afferma di avere delle fotografie da consegnare riguardanti “faccia di mostro”. Donadio chiede di spedirle, ma non è possibile per ragioni di sicurezza.

 

Il giallo delle foto. Il magistrato allora contatta il capo del servizio centrale di protezione, dà atto di essere in registrazione, e consegna al capo scorta due buste con la scritta “Dna”, dando istruzioni a Lo Giudice. La busta arrivano tramite un uomo del servizio centrale di protezione. Ma dentro ci sono fogli bianchi: «Non amo le dietrologie – spiega Donadio – ma i casi sono due: o questo signore è venuto meno ad una sua spontanea promessa o qualcuno… ha operato una sostituzione». Sta di fatto che, dopo la mancata consegna delle fotografie, Lo Giudice viene convocato per un secondo colloquio investigativo, al quale – accampando strane scuse – non si presenterà, nonostante più rinvii. La Dna s’insospettisce e iniziano gli accertamenti. Si scopre che durante il viaggio di ritorno verso la località protetta, l’equipaggio si ferma in un distributore per mangiare un panino.

 

Nella relazione del Nop si dà atto che Lo Giudice si distacca dal controllo diretto per tre o quattro minuti. Può essere accaduto qualcosa in quel frangente? E ancora: dalla relazione emerge che «nessuno durante il tragitto ha preso contatti con il collaboratore e comunque con persone non autorizzate, non è stato assolutamente avvicinato da estranei o persone sospette». Ma il pm fa notare che il collaboratore ha a disposizione un telefono cellulare. Per il Nop egli sente solo la sua compagna «probabilmente anche con sms». Insomma, non vi è certezza che Lo Giudice possa aver sentito anche altre persone. Sta di fatto che, una volta arrivato nella località protetta, prende le due buste contrassegnate “Dna” ed è in quel momento che confeziona il memoriale video. Subito dopo, riconsegna le due buste che, il giorno dopo, sono recapitate manualmente in Dna. Dunque, l’interrogativo resta tutto: è Lo Giudice a mettere dentro i fogli bianchi di sua iniziativa o c’è un intervento esterno? Donadio pone un altro quesito: analizzando il filmato del memoriale ha la sensazione che Lo Giudice guardi verso un’area della stanza diversa da quella occupata dall’operatore. Vi erano altre persone presenti al momento della registrazione? Lo Giudice fu costretto da qualcuno a non inviare quelle fotografie e girare il video?

 

Consolato Minniti

Giornalista
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