"Caso Fallara", i difensori attaccano il Tribunale di primo grado: «Norme violate, non ci siamo potuti difendere»

Nel mirino del collegio difensivo, le scelte dei giudici che hanno rigettato numerose richieste istruttorie, non permettendo così di confutare le tesi accusatorie. L'ex governatore Scopelliti, condannato a sei anni di prigione, era presente in aula
di Consolato Minniti
15 settembre 2016
14:38

«Abbiamo assistito ad una violazione delle norme. Agli avvocati non è stata data la possibilità di interloquire. Non ci siamo potuti difendere. È stato negato il diritto alla contro prova». Se non è un attacco frontale, poco ci manca, quello che oggi gli avvocati del collegio difensivo hanno portato nei confronti del Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Olga Tarzia, che ha emesso la sentenza di primo grado nel processo relativo al cosiddetto “Caso Fallara”.

 


La vicenda. Nel marzo del 2014, infatti, i giudici avevano condannato l’ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, a sei anni di reclusione, per i reati di abuso d’ufficio e falso; tre anni e sei mesi di carcere, invece, erano stati disposti per gli ex revisori dei conti del Comune di Reggio Calabria, Carmelo Stracuzzi, Domenico D’Amico e Ruggero Ettore De Medici, accusati solo di falso. Fu una decisione pesantissima, quella del collegio giudicante. La richiesta dell’allora sostituto procuratore reggino Sara Ombra fu di cinque anni di prigione per Scopelliti, aumentati a sei dai giudici. Scopelliti, oltre ad essere interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, fu anche condannato al pagamento di una provvisionale da 120mila euro come risarcimento del danno alle parti civili; 20mila euro ciascuno fu invece la quota decisa per i tre revisori dei conti. Tutto scaturiva dalle denunce presente, a più riprese, da Demetrio Naccari Carlizzi e Sebi Romeo, esponenti politici del Pd e storici avversari di Scopelliti, che portarono all’attenzione della Procura il sistema delle autoliquidazioni posto in essere dall’allora dirigente del settore Finanze e Tributi del Comune di Reggio Calabria, Orsola Fallara. La donna, poi morta suicida nel dicembre 2010 a poche ore da un’accorata conferenza stampa, si liquidò centinaia di migliaia di euro in violazione di legge. “Parcelle d’oro” derivanti da incarichi avuti davanti alla commissione tributaria, in rappresentanza dell’amministrazione comunale, in seno alla quale, però, la Fallara era già dirigente. Ma vennero poi fuori altre enormi irregolarità nella redazione dei bilanci comunali, tanto da indurre l’accusa a parlare di veri e propri documenti contabili falsati. Da qui l’imputazione per Giuseppe Scopelliti, all’epoca sindaco di Reggio ed in strettissimo contatto con Orsola Fallara, da lui chiamata a dirigere il settore Finanze e Tributi del Comune. La sentenza che condannò Scopelliti, portò lo stesso governatore a dimettersi dalla carica ricoperta.

 

L’attacco al Tribunale. E proprio nella giornata odierna, l’ex governatore era presente in aula, assieme al suo avvocato Aldo Labate, per partecipare all’udienza davanti alla Corte d’Appello presieduta da Adriana Costabile (Giacobello e Varrecchione a latere).

 

Scopelliti è apparso abbastanza sereno, nonostante le ultime vicende di “Mamma Santissima” lo abbiano sfiorato con una perquisizione domiciliare. L’ex governatore si è seduto vicino al suo legale, con il quale ha interloquito per diverso tempo. Ed è proprio dall’avvocato Aldo Labate che è arrivato l’attacco più duro nei confronti dei giudici di primo grado. Nel presentare le sue richieste di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, il legale ha parlato apertamente di violazione del diritto di difesa, di negazione del diritto alla prova contraria. Facendo riferimento ad una giurisprudenza della Cedu, Labate ha rimarcato come i giudici avrebbero impedito alla difesa di citare dei testi di risulta definiti importanti e fondamentali per confutare le accuse portate dai testimoni dell’accusa. L’avvocato ha citato, ad esempio, il presidente di Confindustria Reggio Calabria, Andrea Cuzzocrea, che all’epoca rese dichiarazioni pesanti sulla gestione del Comune, ma anche alcuni dirigenti comunali dell’epoca (come Enzo Cuzzola), periti che hanno redatto relazioni di parte mai ammesse; ed ancora il giornalista Giuseppe Baldessarro che, secondo quanto ricordato da Labate, avrebbe detto ad un luogotenente dei carabinieri che a passare tutti gli atti sul caso Fallara fu Demetrio Naccari Carlizzi. «Questo – ha spiegato Labate – per avere un’idea più chiara sull’attendibilità dei testi chiave del processo». Il legale ha infine chiesto anche l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare a carico di Sebi Romeo e la valorizzazione della conferenza stampa resa da Orsola Fallara poche ore prima di suicidarsi e poi acquisita agli atti. Secondo Labate, tale documento sarebbe fondamentale per capire meglio il quadro generale. «Sono rimasto sorpreso – ha spiegato – quando ho visto che nelle motivazioni della sentenza non si faceva cenno a questa conferenza stampa». È di tutta evidenza, come lo stesso avvocato punti dritto alle parole della Fallara, laddove la donna chiedeva scusa a Scopelliti per aver tradito la sua fiducia.

 

Le richieste dei revisori. È stato poi l’avvocato Carmelo Chirico, difensore di uno dei revisori dei conti, ad intervenire per chiedere che fosse riaperta l’istruttoria dibattimentale, al fine di ascoltare la testimonianza di colui il quale si occupò di redigere materialmente i modelli 770, mai ritrovati, ad eccezione di quello riguardante l’anno 2008. Secondo l’avvocato, infatti, sarebbe molto interessante approfondire l’aspetto riguardante i pagamenti degli F-24, da parte dell’amministrazione comunale, con i contributi dei dipendenti. «I revisori cosa ne potevano sapere di un’eventuale falsificazione dei modelli, se i 770 risultavano in regola?», si è domandato l’avvocato che ha lamentato anch’egli il poco spazio avuto dalla difesa nel corso del procedimento di primo grado. Successivamente, gli interventi degli avvocati Sofo e Panuccio che si sono riportati alle richieste contenute negli atti d’appello per la riapertura dell’istruttoria dibattimentale. A tutte le richieste si è opposto l’ufficio della Procura generale, ritenendo perfettamente sufficiente il materiale probatorio raccolto.

 

La Corte d’appello si è riservata la decisione, rinviando il processo al prossimo 17 novembre. In quella data si saprà se il processo Fallara avrà un’ulteriore appendice istruttoria, con nuovi testimoni o se invece si procederà spediti verso la fase di discussione e quindi una sentenza d’appello molto attesa, dopo il ciclone avvenuto a seguito della decisione di primo grado.

 

Consolato Minniti

Giornalista
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