Processo Insula, la Dda di Catanzaro: 'I giudici hanno ignorato le prove'

La Pocura antimafia ha depositato l'appello contro il verdetto di assoluzione dell'ex sindaco di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole
di Gabriella Passariello
4 febbraio 2016
09:54

Prove sminuite, in alcuni casi completamente ignorate che hanno consentito ai giudici di prime cure di emettere nell’ambito del processo Insula un verdetto di assoluzione dai reati di corruzione elettorale, abuso di ufficio, turbativa d’asta a carico a vario titolo dell’ex primo cittadino di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole, il marito Francesco Pugliese, Domenico Battigaglia, Antonio Calabretta e Paolo Lentini. E’ implacabile  l’appello del sostituto procuratore della distrettuale di Catanzaro Domenico Guarascio contro una decisione, quella dei giudici del Tribunale di Crotone che non ha tenuto conto della “ qualità dei soggetti protagonisti della vicenda e del fine delle condotte poste in essere: consentire agli Arena di beneficiare illecitamente, oltre che indebitamente, della raccolta dei finocchi sui terreni anni confiscati”. Un metodo valutativo che per la Dda va censurato , considerando inconcludente la giustificazione, accolta acriticamente dal Tribunale, che rispondesse ad un interesse della popolazione non sprecare il raccolto ma recuperare risorse economiche con la vendita dei finocchi. “Interesse della popolazione o interesse degli Arena, gli unici ad averci guadagnato?” . Ma c’è anche un’altra domanda retorica che la Procura formula nell’appello: “ Girasole, quale sindaco "Antimafia", bene a conoscenza degli interessi che c'erano dietro quei terreni ancora in mano agli Arena che li coltivavano alla luce del sole da anni seppure loro sottratti e confiscati dallo Stato, avrebbe consentito che gli stessi soddisfacessero ancora una volta gli illeciti interessi di quella famiglia di `ndrangheta? Ci si potrebbe chiedere, in senso retorico, se fosse veramente interesse pubblico procedere ad una gara il cui risultato economico di poche migliaia di euro a fronte di un reale valore del raccolto per centinaia di migliaia di euro. Una gara, tra l’altro, bandita in pochissimi giorni, alcuni pure festivi, “secondo le attese e le aspettative degli Arena, come incontestabilmente- si legge nell’appello-  emerge da quella chiave di lettura autentica che è costituita dalle intercettazioni” .

LE PROVE SCHIACCIANTI “ACCANTONATE”


Sono almeno cinque le prove che il Tribunale di Crotone, secondo le prospettazioni della Procura, ha ignorato. A partire dalle  intercettazioni che hanno stabilito e documentato come gli Arena, hanno continuato a coltivare i terreni di cui erano proprietari anche successivamente al provvedimento di sequestro, quando gli stessi erano sottratti alla loro disponibilità. Un possesso mantenuto senza soluzioni di continuità anche dopo la confisca, durato fino ad ottobre 2010 quando su impulso della Prefettura (e non  del Comune) venne intrapreso un percorso di utilizzazione ai fini sociali di diversi beni confiscati nel territorio crotonese. Esiste poi una contraddizione tra quanto sostenuto dagli imputati  circa l’impossibilità dell’amministrazione comunale di interrompere tale perdurante stato di illegalità e  la mancata necessità di addivenire ad una soluzione amministrativa (la frangizollatura) che evitasse il concreto rischio di infiltrazione da parte del gruppo Arena. La stessa sentenza di primo grado omette completamente di considerare e valutare dal punto di vista logico che, al momento della coltivazione dei terreni, avvenuta in modo del tutto indisturbato, il legittimo destinatario e titolare giuridico dei beni immobili era proprio il Comune di Isola Capo Rizzuto, né la Prefettura e né la Questura. C’è un terzo punto da tenere in considerazione e svilito a detta della Procura dal Tribunale di Crotone: Gli Arena, nelle persone di Nicola e Massimo in primis, al momento della decisione di procedere alla frangizzolatura “non solo andavano in fibrillazione ma procedevano ad intraprendere una serie di contatti con il marito della Girasole, con l’ex sindaco stesso ed altri soggetti interni all’amministrazione. In tali incontri, di cui è prova diretta una sequela di intercettazioni - malamente svilite nel loro chiaro contenuto semantico dal Tribunale - non solo ricordavano l’appoggio elettorale dalla loro famiglia reso alla compagine politica della Girasole, ma addirittura minacciavano di rendere pubblica una lettera inerente proprio tale attività di procacciamento dei voti”. D'altronde gli imputati, come risulta in diverse intercettazioni  non solo manifestavano espressamente le loro “giustificazioni” agli esponenti della famiglia Arena (quando Pugliese, nell’interloquire con Massimo Arena espressamente riferiva a quest’ultimo che la moglie, ossia il sindaco, “aveva la Prefettura caricata addosso”) ma nel giro di pochi giorni si attivavano per la predisposizione di un bando assolutamente non previsto dalla sequela delle decisioni assunte nelle sedi istituzionali (ossia di procedere alla frangizzolatura), tra l’altro assunto senza alcuna istruttoria inerente il capitolato di gara oltre che “ampiamente redatto e voluto dagli odierni imputati ancor prima della delibera di Giunta - che ne affidava, a quel punto,  del tutto fittiziamente la redazione al competente settore amministrativo - con palese e manifesta violazione di legge per come contestato nella fattispecie di abuso di ufficio”. Nelle motivazioni dei giudici di prime cure viene omessa un’altra importante circostanza. La decisione di indire un bando veniva ufficialmente assunta dal Comune in data 09.12.2010 con delibera 975 e appena appresa la notizia gli Arena commentavano già compiaciuti e soddisfatti la circostanza che il Comune avesse loro “fatto un bando”. Premesso che gli Arena non potevano chiaramente partecipare al bando, ma  in quella data non potevano nemmeno  avere alcuna certezza di poter vincere il bando. Eppure in una conversazione Massimo Arena con enfasi afferma rivolgendosi al  padre Nicola Arena “partecipiamo noi al bando… Ci hanno fatto pure il bando…” per volere sottolineare come il “futuro bando” sarebbe stato pubblicato  “ad hoc” per gli Arena.

Un ulteriore dato captativo, secondo la Procura non solo  completamente omesso nella motivazione della sentenza di primo grado ma neppure letto nella sua concatenazione con gli altri dati e risultanze investigative. Come viene svilita con motivazione definita illogica un’altra circostanza. Dall’escussione dei militari di polizia giudiziaria e dai risultati captativi emerge come Arena si recassero nell’abitazione della madre del sindaco Girasole e, nelle settimane successive alla chiusura del bando, precisamente i primi giorni del mese di febbraio, si recavano anche a casa del suocero del sindaco, Rosario Pugliese  con delle cassette di finocchio in “omaggio”. “La circostanza non è di per sé rilevante, ma è chiaro che è indicativa del fatto che gli Arena- si legge nell’appello della Procura- abbiano voluto in qualche modo ringraziare la Girasole ed il di lei marito Franco Pugliese. La cassetta di finocchi ha un valore puramente simbolico. Nella cultura calabrese però un omaggio non è mai effettuato a chi non merita. Di sicuro non è costume di un organizzazione criminale forte e potente “portare doni” a chi è ritenuto un personaggio in contrasto con l’organizzazione”.

Gabriella Passariello


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