I figli della 'ndrangheta strappati alle famiglie

Il Tribunale dei minori di Reggio Calabria è l'unico ad aver intrapreso la strada dell'allontanamento dai genitori mafiosi. Trenta finora i minori sottratti alle cosche. Le loro storie raccontate da Giovanni Tizian su l'Espresso.
di Mariantonietta Maccuro
15 gennaio 2016
15:39

L'adolescenza è l'età dello studio, del divertimento, dei primi amori, dei primi viaggi. Per tutti ma non per loro. No per i figli dei boss, no per i figli di 'ndrangheta' che, proprio in quello che è considerato un periodo importante della nostra esistenza, quello in cui si inizia a diventare adulti, devono iniziare a diventare 'mafiosi' e apprendere gli insegnamenti paterni. Perchè per la mafia la famiglia è tutto. A diventare 'ndranghetista lo si insegna, prima, tra le mure domestiche e poi per strada. Le prime lezioni di mafia sono impartite dai papà-boss che hanno già scelto il futuro dei propri figli,  prima ancora che questi compiano i primi passi e inizino a scoprire il mondo. Questo lo hanno ben capito i giudici del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, l'unico ad aver intrapreso la strada dell'allontanamento dai genitori mafiosi. Sono 30 finora i minori sottratti alle cosche e affidati a famiglie o comunità del Nord. A renderlo noto è Giovanni Tizian, che in un' inchiesta del settimanala l'Espresso racconta le storie di 'quei minori tolti a mamma mafia'. Il più piccolo ha 12 anni, ma la maggior parte è nel pieno dell'adolescenza. Sono ragazzini che già a sette anni sono costretti a sparare, ad assistere a lezioni di mafia o molto spesso trasformati in vedetta durante una delle tante faide. Il loro futuro è già scritto, chi riuscirà a sopravvivere, ricomparirà da adulto nelle celle del 41 bis, chi non ce la farà sarà una vittime, tra le tante, delle interminabili guerre che stanno sterminando intere famiglie.

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"Ci troviamo davanti ai figli e ai fratelli di persone processate negli anni Novanta. Questo ci fa pensare che la ’ndrangheta si eredita", racconta a l'Espresso, Roberto Di Bella, il presidente del tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, che ha creduto fortemente in questo protocollo. "Dal 2012 stiamo intervenendo con provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale e il conseguente allontanamento dei figli minori dal nucleo familiare. L’obiettivo è interrompere la trasmissione culturale". "È una misura che non si applica mai in maniera leggera", spiega il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, che aggiunge: "Chi la critica sostiene che è una intromissione intollerabile nell’ambito familiare. Però dobbiamo capire una cosa: il clan mafioso impartisce ai suoi rampolli regole opposte a quelle naturali".


Per la 'Ndrangheta il legame di sangue ha un' importanza che non ha eguali nelle altre organizzazioni criminali. Esiste, infatti, un rito chiamato la "smuzzunata", il battesimo 'ndranghetista, destinato solo ai figli dei boss. "Quando la moglie di uno 'ndranghetista di grado elevato mette al modo un figlio maschio, quest'ultimo viene battezzato nelle fasce con la 'smuzzunata' e, per il rispetto goduto dal genitore, entra a far parte dell'associazione sin dai primi giorni di vita. Percorrerà così tutta la gerarchia mafiosa".   



Negli ultimi vent'anni, dice Tizian, il tribunale dei minorenni di Reggio ha celebrato cento processi per reati i mafia. Gli imputati erano rampolli non ancora diciottenni delle cosche più blasonate. A distanza di tempo c'è chi è stato ucciso, chi è arrivato ai vertici, chi è rinchiuso dietro le sbarre. Di Bella, il presidente del tribunale dei minori crede che, grazie al documento firmato con procura dei minori, Antimafia e servizi sociali, si possano salvare tanti minori da questo triste destino. Emblematico è il caso della giovane B. Per lei il codice delle 'ndrangheta, prevedeva una vita vissuta in silenzio, sposa di un qualunque uomo d'onore e pronta a partorire un figlio maschio per assicurare la continuità della specie.L'intervento dei giudici le ha permesso di realizzare il suo sogno, quello di disegnare abiti. Figlia di un boss del reggino, B. ora vive in una località protetta, lontana da quella famiglia che le aveva tagliato le ali, libera, finalmente, di seguire i suoi sogni. Come la storia di B. in Calabria ce ne sono tante, e tante altre possono ancora essere raccontate perchè qualcosa, forse, sta cambiando, un nuovo fronte nella lotta alla 'ndrangheta è stato aperto dai magistrati di Reggio Calabria.


La presenza dello Stato è stata percepita da un gruppo di mamme che, non potendo più tornare indietro, decide di chiedere aiuto al tribunale dei minori. Chiedono di salvare i propri figli da un destino dal quale non c'è scampo: killer oppure vittima di una delle tante faide calabresi. Chiedono di essere portate via assieme ai loro figli, lontano dai mariti e dai parenti, lontano da quelle famiglie che avevano combinato il matrimonio per rafforzare il legame con qualche clan. "E' un fenomeno del tutto nuovo - spiega Di Bella - queste signore hanno esperienze terribili alle spalle, quindi vuol dire che i nostri provvedimenti stimolano a reaggire. E c'è anche un lieto fine perchè molti dei casi trattati, inviati al nord, non vogliono più tornare nei paesi d'origine".

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