Renzi ha fallito perché a livello locale non c'è stata rottamazione

Oggi limitarsi a traghettare il partito verso altri contesti politici senza rinnovarlo davvero condannerà i democrat a un ruolo sempre più marginale e rigorosamente d’opposizione
22 marzo 2018
17:54
Matteo Renzi
Matteo Renzi

Ma davvero pensate che il Pd possa vivere di luce propria e non sopravvivere di luce riflessa? Questa è la domanda che bisogna porsi prima di pensare come traghettarlo e soprattutto dove traghettarlo. Ma partiamo da uno spartiacque storico. Tangentopoli, segna la fine dei partiti di massa storicamente intesi ed un episodio in particolare, li trasforma in veri e propri nani e non più giganti dai piedi di argilla (per usare una espressione cara ai politologi). Nel 1994, avevamo da un lato l’armata gioiosa diventata poi noiosa, di Occhetto (decidiamo dopo le elezioni chi sarà il leader) dall’altro, l’ascesa di Silvio Berlusconi (sono io il leader ed ho il mio partito-movimento). Lì si iniziò a capire che c’era bisogno di leader alla guida di nuove forme organizzate (chiamiamoli movimenti e non più partiti con caratterizzazioni tematiche e non più ideologiche e che esprimono nuovi linguaggi e si muovono su nuove piazze - virtuali -). Poi la crisi profonda delle famiglie politiche europee, ha dato sempre più senso e rilevanza alla ricerca di leadership forti per sostituire definitivamente i partiti ditta per usare la perdente ma più attuale metafora di bersaniana memoria.

 


In tutto questo scenario, assistiamo da anni ad uno smottamento pressoché uniforme nel contesto europeo e anche oltre (tranne che il caso portoghese dell’ottimo Antonio Costa, vero laboratorio politico di una visione moderna della sinistra che può essere elevato a modello da seguire) della sinistra e dei suoi capisaldi essenziali. Ma torniamo al Pd e a quel che resta di un partito giovane che però si è fuso su macerie vecchie nonostante l’impronta di un progressismo riformista con l’ottimo Veltroni, ne delineasse il cammino.

 

Ma, se non fosse esistito Renzi, il disegno di Veltroni sarebbe rimasto solo uno schizzo a freddo olio su carta e non su tela. Il Pd sarebbe stato un monolito senza pretese di vittoria e senza pretese di sconfinare la soglia fisiologica della sinistra italiana, quella che la colloca nell’alveo della opposizione di governo, nonostante i buoni propositi iniziali della vocazione maggioritaria, riformista e progressista. Con Bersani, D’Alema, Speranza e company, il Pd sarebbe rimasto lì tra l’utopia - sana - e il sogno irrealizzato ed irrealizzabile.

 

Matteo Renzi ha rivitalizzato un partito stanco e stremato da ripicche e correnti interne e questo è stato il suo grande merito, portandolo a scoprire mondi nuovi: il 40,8 % per cento delle scorse Europee è stato un risultato straordinario e storico, addirittura è riuscito a collocarlo “come prima forza politica” nel partito socialista europeo, altro merito straordinario di un leader carismatico, veloce, energico e che è riuscito a far convolare nel Pd, sentimento e curiosità pescando consenso fluido da un elettorato non strettamente di sinistra. Un Macron ante-litteram se vogliamo usare una espressione naïf ma, più coraggioso di Macron perché si era prefissato di rottamare una classe politica esausta e vecchia a casa loro, non creando un altro contenitore partitico. E vi è riuscito con una forza straripante seppur con dei limiti e delle sottovalutazioni evidenti che si sono trasformati in un imperdonabile errore capitale: quello di averlo lasciato intatto sui territori dove dominava e domina una struttura ottocentesca e pesante di partito, affatto pensante, libico-familistico-tribale che anche un distratto passante, magari non studioso di Banfield, avrebbe notato.

 

Ecco il punto di non ritorno che al momento propizio ti si ritorce contro trasformandosi in boomerang mortale. Il dispotismo per nulla illuminato, perché privo di afflato e amor per il futuro delle nuove generazioni, intriso di vecchi micro-interessi spartitori che connota il Pd soprattutto al sud, si è rivelato fatale per il recente verdetto elettorale. Ed è qui che Renzi ha fallito e non solo perso. Se si leva un forte vento di tramontana, tutta quella polvere ben messa sotto il tappeto, si solleva e ti torna in faccia prima di dissolversi. Le operazioni di rammendo, quando c’è da rifondare e costruire ex novo, non danno parvenza di novità e non attecchiscono in un elettorato stanco e fiaccato da una crisi giovanile sempre più profonda e lacerante (ogni famiglia ha un figlio o una figlia in difficoltà occupazionale e non solo) e magari, non aver dato neanche il giusto peso al fatto che non esistano più i voti di appartenenza e che il consenso anche naïf, si muove su altri crinali e non più seguendo un non-partito con una non-forma e con una classe dirigente ferma lì ed arroccata da 30 anni, ha aggravato il verdetto. Ancora non metabolizzata la disfatta, e magari pensare di traghettarlo - il Pd - e non di rinnovarlo dalle fondamenta, non fa altro che farlo tornare ad un istante prima che venisse Renzi, nel suo fisiologico alveo d’opposizione dove, c’è chi gioisce se si raggiungono percentuali che non superano il 23 per cento dei consensi. Ma, se per il 30% ci vorrà il cannocchiale, il 40 % neanche a sognare lo vedremo nelle proiezioni future dei sempre più influenti sondaggisti.

 

E allora cosa fare? Bisogna trovare un leader carismatico, che possegga quel carisma di accezione weberiana, che abbia obiettivi chiari e definiti ed investa sul merito e su una nuova classe dirigente, se si vuole provare - difficile - a farlo navigare in mare aperto seppur burrascoso; un leader carismatico, energico ed empatico che sostituisca Renzi e la sua ingombrante presenza-assenza. Sembra difficile scorgerne ai piani alti del Nazareno, a meno che non torni un Renzi rigenerato, pacato e riflessivo, temerario ma non strafottente, tenace ma non sprezzante, o perché no una donna giovane e qualificata così da svecchiarlo - il Pd - non solo dai cacicchi ma anche dal maschilismo asfittico che lo pervade. Altrimenti sarà un traghettarlo da Villa San Giovanni a Messina e non in mare aperto e, così facendo fra qualche tempo, diventerà il terzo partito perché la lega crescerà e crescerà di tanto (al di là che fagociterà il voto moderato - berlusconiano) e contribuirà al ritorno del bipolarismo (ma questa, ai tempi dell’Italico proporzionalismo poco responsabile, vuole essere una mera provocazione giornalistica) così da relegare definitivamente il Pd o quel che resta di esso, nell’alveo fisiologico dell’opposizione. Possibile che non lo si afferra o bisogna “riesumar” Giovanni Sartori per farvelo spiegare?

 

Giuseppe Alonge, consulente politico
@peppalonge

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