Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco, la lezione del Trap per Orsomarso e Mancini (VIDEO)

Il primo si è abbandonato a un abbraccio plateale con Wanda Ferro per l’elezione poi rivelatasi inesistente, il secondo ha visto sfumare la possibilità di approdare almeno in Consiglio regionale
di Enrico De Girolamo
22 marzo 2018
15:45

Se Fausto Orsomarso e Wanda Ferro, entrambi esponenti di Fratelli d’Italia, non si fossero abbracciati pubblicamente in maniera così plateale per festeggiare un’elezione che poi si è rivelata inesistente, probabilmente oggi Orsomarso sarebbe in Parlamento. Invece, quell’entusiasmo a favore di camera ha fatto scattare l’allarme in Forza Italia, visto che all’indomani dello spoglio elettorale il seggio era stato attribuito ufficiosamente a Maria Tripodi, candidata azzurra.

 


Da Jole Santelli a Renato Brunetta, si sono mobilitati tutti e la questione è stata raddrizzata in extremis, con un riconteggio fuori tempo massimo che ha ripristinato l’esito corretto del voto espresso dagli elettori, con la proclamazione di Tripodi. Ma senza quell’abbraccio che ha fatto mangiare la foglia ai cugini del centrodestra, ad essere proclamato deputato sarebbe stato Orsomarso e la questione sarebbe finita alla giunta parlamentare per le elezioni, con una tempistica molto più lunga che avrebbe assicurato comunque al rappresentante del partito di Giorgia Meloni di prendere posto in uno scranno non suo. Ma non sarebbe stato giusto, quindi meglio così.

 

Lo stesso Orsomarso, che ora resterà al suo posto in Consiglio regionale, ha pubblicato un lungo post sulla sua pagina Facebook per chiudere una volta per tutte la questione e tagliare corto con le polemiche. Anche se tra le righe è possibile leggere tutta l’amarezza per questa grottesca vicenda, soprattutto quando afferma che «se volessi presentami presso la Camera per la registrazione troverei un elenco del verbale chiuso dalla Corte di Cassazione in cui al n. 330 degli eletti trovo il mio nome». Secondo l’esponente di FdI, quindi, la questione doveva essere risolta dalla giunta per le elezioni, «perché sono gli organi competenti che devono assegnare i seggi e come sempre nella nostra vita non abbiamo alzato la voce o mosso altro». E con quel “mosso altro”, Orsomarso sembra alludere a una mobilitazione che ha raggiunto i massimi livelli gerarchici in Forza Italia, attivando leve impossibili da raggiungere per altri e ottenendo lo svelamento dell’inghippo a tempo scaduto.

 

Restano le immagini di quell’abbraccio ostentato, eccessivo, che se anche può avere una spiegazione umanissima nella convinzione di aver raggiunto un risultato importante come un’elezione alla Camera, assomiglia troppo all’esultanza di chi trova il biglietto vincente di un gratta e vinci. Al contrario, in un mondo che evidentemente non esiste, essere destinatari di una responsabilità così grande come sedere in Parlamento dovrebbe fare tremare le vene ai polsi di chi è chiamato a un impegno simile, o quanto meno dovrebbe esigere un approccio un tantino più sobrio, a maggior ragione se il seggio che credi aver conquistato lo stai togliendo a un tuo compagno di cordata. 

 

Chi invece non ha proprio nulla da festeggiare è Giacomo Mancini, che è rimasto con il classico pugno di mosche. Sceso in pista con il Pd per le Politiche, non è stato eletto, ma l’ingresso di Orsomarso in Parlamento gli avrebbe consegnato su un piatto d’argento il suo seggio in Consiglio regionale, visto che lo stesso Mancini, 4 anni fa, ha corso alle regionali sotto le insegne del centrodestra, risultando il primo dei non eletti. Situazione paradossale, che durante la recente campagna elettorale lo ha portato alla ribalta nazionale, facendogli conquistare una popolarità enorme su giornali e tv come emblema del trasformismo politico. Dalla Rai a Mediaset, passando per Sky e La7, dalle trasmissioni di approfondimento politico a quelle più leggere ma molto pungenti come Un giorno da pecora, Mancini non è mai mancato, accompagnato spesso da titoli del tipo “Comunque andrà sarà un successo”. Così non è stato, perché alla fine, come insegna il grande Trapattoni, mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco.


Enrico De Girolamo

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