Lamezia, Mascaro: «Ecco perché non si doveva sciogliere il Comune»

L'avvocato continua a rigettare punto per punto le accuse e ad argomentare la sua difesa chiedendo che gli venga restituita la fascia tricolore
di Tiziana Bagnato
3 gennaio 2018
20:05

I presupposti per lo scioglimento del Consiglio Comunale di Lamezia Terme sono «clamorosamente assenti». Ne era convinto prima dell’arrivo del decreto e lo è anche oggi che ha esaminato scrupolosamente le 240 pagine di relazione prodotte dalla commissione di accesso agli atti l’ex sindaco Paolo Mascaro che continua a chiedere che gli venga restituita la fascia tricolore e che possa tornare ad occupare quel ruolo e quella scrivania a cui lo aveva portato una percentuale di voti che aveva sfiorato il 60 per cento.

 



Dopo avere pubblicato sulla sua pagina facebook diversi ‘capitoli’, così come definiti da lui stesso, in cui ha sviscerato alcuni dei nodi chiave dello scioglimento secondo la commissione, Prefetto e Ministro dell’Interno, argomentando e rigettando punto per punto le accuse, ora l’ex primo cittadino tira le somme.

 


A partire dalla vicenda dell’appalto del servizio di mensa scolastica alla Cardamone Group, società oggetto poi di interdittiva antimafia. Le anomalie ravvisate nella commissione di gara, spiega il sindaco decaduto, sono legate «alla confusione operata dalla Commissione di Accesso tra le diverse figure della Commissione o seggio di gara e della Commissione Giudicatrice o tecnica di cui all’art. 77 Codice Contratti». Sarebbe invece evidente il «rigore amministrativo manifestato nei riguardi di azienda che pur svolgeva da 20 anni, sotto diverse compagini sociali riconducibili sempre al medesimo soggetto, il servizio presso il Comune di Lamezia e ciò sia rifiutando la richiesta di rinnovo contrattuale e sia interrompendo immediatamente il rapporto non appena comunicata l’interdittiva prefettizia».

 


Mascaro passa poi alla questione dei beni confiscati. Anche in questo caso ci sarebbe una mancata conoscenza, stavolta in merito alle «caratteristiche e alla composizione della Cooperativa Sociale di tipo B, degli atti di gara e del progetto presentato dalla Agrimed», oltre che delle condizioni dell’immobile «non ultimato, danneggiato e trasferito al Comune di Lamezia sin dal lontano 2000 senza che vi fosse mai stato altro diverso utilizzo o richiesta; non hanno poi considerato i Commissari - aggiunge - il grande impegno portato avanti dall’Amministrazione con le manifestazioni di interesse per 21 beni confiscati, la rapidità di svolgimento delle procedure per l’assegnazione degli stessi, l’attività continuativa contro la criminalità organizzata e mafiosa».

 


Parla invece di un «mancato compiuto esame degli atti e della mancata verifica della determina di euro 160.000 citata nella proposta del Ministro» in merito al verde pubblico. La determina, spiega l’ex sindaco, riguarderebbe una gara pubblica legittimamente indetta dalla precedente amministrazione, «mentre la determina di euro 50.000 viene citata unicamente per l’errore compiuto dalla Commissione nel computare anche l’IVA che non costituisce invece base per la determinazione degli importi e l’applicazione dei limiti agli affidamenti diretti; di converso – aggiunge - i Commissari non hanno tenuto in considerazione il risparmio enorme operato dalla virtuosa opera dell’amministrazione nel capitolo verde pubblico con costi sensibilmente diminuiti nel corso degli anni».

 


La Commissione non si sarebbe accorta inoltre che nel caso dei lavori pubblici si trattava di accordi quadro di manutenzione con contrati integrativi nei limiti numerici e temporali già disposti dal medesimo accordo quadro e non invece di affidamenti diretti. Procedura, incalza l’ex sindaco, usata anche dai commissari prefettizi.

 

Nel caso dell’accusa di mala gestio del patrimonio culturale l’affondo di Mascaro parla di una non considerazione del lavoro di « dismissione di immobili non funzionali all’attività istituzionale con incasso di circa 3.000.000 di euro e contestuale importante diminuzione del debito pubblico nè della meritoria attività di acquisizione di beni tramite il federalismo demaniale per svariati milioni di euro di valore».
Passando poi in rassegna il dito puntata dalla commissione contro il presunto disordine amministrativo Mascaro la definisce apodittica, sostenendo che questa non terrebbe conto della poderosa attività di «ripristino di regolarità amministrativa, pur in condizioni di oggettiva emergenza in Comune ereditato in pre-dissesto, sia tramite la regolarizzazione del pagamento TARI, sia tramite la regolarizzazione degli avvisi di accertamento e liquidazione ICI ed IMU, sia tramite il recupero dei ritardi nella contrattazione collettiva decentrata, sia tramite l’accelerazione della vendita di immobili non funzionali alle attività istituzionali dell’ente, sia tramite la poderosa indiscussa opera di risanamento dei conti, sia tramite l’attribuzione di migliaia di numeri civici a cittadini che ne erano sprovvisti e sia tramite svariate altre attività».

 


Offensiva, invece, l’accusa di avere difeso i clan durante il proprio mandato. «Offensiva - spiega - rispetto alla nobile categoria professionale dell’avvocatura rappresentata quale condizionata o condizionabile dall’assunzione di eventuali difese».
«Alla luce di ciò – conclude Mascaro - è evidente che non sussiste un atto condizionato da infiltrazioni della criminalità organizzata, non esiste un atto viziato da illegittimità amministrativa, non esiste un comportamento censurabile; esistono, di converso, continui e ripetuti atti di contrasto serio ed efficace alla criminalità, esistono continui e ripetuti atti di osservanza delle regole di buona amministrazione, esistono continui e ripetuti atti di risanamento economico e di rigore etico e morale».

 

Tiziana Bagnato

Giornalista
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