La grande squadra di LaC e una maldestra uscita di scena

Cosa è successo in queste ore a LaC? Niente assolutamente niente, se non il fatto che è scaduto il contratto ad un direttore (contratto semestrale) e, l’azienda editoriale, valutati i risultati, ha ritenuto di non rinnovarlo. Tutto qua. Niente di più niente di meno.
di Pasquale Motta
16 gennaio 2018
13:44

Cosa è successo in queste ore a LaC? Niente, assolutamente niente, se non il fatto che è scaduto il contratto ad un direttore (contratto semestrale) e l’azienda editoriale, valutati i risultati, ha ritenuto di non rinnovarlo. Tutto qua. Niente di più, niente di meno. Il nostro editore ha una responsabilità e, forse, una colpa: puntare sempre a migliorare la squadra che lavora al suo fianco, anche quando quella stessa squadra insieme a lui negli ultimi 2 anni ha fatto passi da gigante. Ma è la caratteristica dell’uomo, dell’imprenditore: innovare, sperimentare. Una caratteristica rara nella nostra terra. E tuttavia, LaC, grazie anche a questa caratteristica, in 24 mesi è passata dall’essere una periferica e storica emittente di provincia a diventare un network regionale d’interesse nazionale. Questo è un fatto. Tutto ciò è avvenuto grazie alla genialità editoriale, a onerosi investimenti e alla squadra interna al nostro network. Le direzioni, infatti,  si sono succedute secondo la logica della rotazione delle funzioni, ma i protagonisti hanno continuato a lavorare fianco a fianco proponendo e migliorando ogni giorno i contenuti editoriali. Ognuno con la propria sensibilità professionale e culturale. Il pluralismo editoriale e redazionale è questo. Oggi combattiamo non per scalare la classifica ma per mantenere la vetta della classifica. E questo è un altro fatto.

 


L’editore, forse sbagliando, aveva ritenuto, nella ricerca di un maggiore equilibrio, di inserire nella squadra, una professionalità che, almeno ad occhio sembrava avere caratteristiche di saggezza ed esperienza tali, in grado di portare serenità e maggiori stimoli alla squadra. Purtroppo si è sbagliato di grosso. L’innesco, infatti, ha prodotto tensione e costante mortificazione tra professionisti. Corrispondenti umiliati nei loro territori, innesti  squalificanti spacciati per eccellenze dell’informazione. E ancora. Emarginazione di fior di colleghi, inutilizzo di altri. In sei mesi la scelta che avrebbe dovuto portare maggior saggezza si è rivelata, invece, come un punto di squilibrio. Ci vuole coraggio oggi a millantare credito sul buon rapporto con una squadra che,  in questi mesi, invece, ha inondato l’azienda editoriale di reclami, proteste, denunciando metodi di conduzione della redazione grossolani per gli abusi e la prevaricazione su alcuni colleghi, i quali da anni, invece, lavorano con il nostro network e con eccellenti risultati. A questo si aggiunga poi, che più volte all’azienda sono state proposte nuove assunzioni a scapito di quelli interne. Altro che tutela della “dignità della squadra”. Per non parlare poi della qualità della selezione dei contenuti editoriali. Il prodotto che ne è venuto fuori è stato pessimo: un mediocre notiziario anni 70, infarcito da piccoli favori a vecchi amici di cordata. Tant’è che, auditel e numeri, sono stati implacabili, numeri che  non si sono nemmeno lontanamente avvicinati a quelli delle direzioni precedenti. Già con queste premesse un editore “cinico e baro” avrebbe potuto invitare il direttore a prendere cappello e ad andare via. E invece no. L’editore ha avallato tutte le richieste del direttore, compresa quella   bizzarra di una campagna di manifesti con il suo volto (e non quello della squadra), che secondo il richiedente avrebbe fatto innalzare il gradimento. E, invece, nonostante la grottesca richiesta (costata 10 mila euro), il gradimento è sceso ancora. A questo punto si è passati alla conduzione serale del direttore, definito il “metodo Mentana”, e nonostante ciò, il gradimento è andato ancora giù. Fino al paradosso che per giustificare il proprio fallimento, il direttore, ha pensato bene di mettere in discussione l’autenticità dei dati auditel. E tuttavia, l’editore,  all’ultima direzione ha concesso tutto: nuove assunzioni, appartamento, campagne pubblicitarie. Nonostante ciò, risultati zero. E squadra in rivolta. Nonostante questi fatti inconfutabili, nessuno è stato cacciato. L’azienda ha atteso con calma la scadenza del contratto e, dopo aver fatto le proprie valutazioni, non ha inteso rinnovare il rapporto. Nelle aziende private, nel mercato, funziona così. E per fortuna. Nelle aziende serie funziona il merito. Nelle aziende serie contano i risultati.

 

Comprendiamo il fatto che uscire di scena non è mai facile in qualsiasi palcoscenico. Soprattutto quando si ha una eccessiva sopravvalutazione di se stessi. Si può uscire di scena con il tributo del pubblico oppure sotto i fischi e i lanci di pomodori e di ortaggi, invece che, con gli applausi. In entrambi i casi si dovrebbe uscire dalla scena con un profilo dignitoso, sia quando vengono tributati gli onori e gli allori, sia nel caso  vengono contestati scarsi risultati. Sobrietà, umiltà e misura, sono la base di qualsiasi manifestazione di dignità. In assenza di queste virtù prevale la menzogna, l’ego smisurato, il disprezzo degli altri e, dunque, per coprire il proprio fallimento, come in questo caso, non rimane che rifugiarsi dietro l’allusione, l’illazione, il millantato. Millantare, magari, di essere stato paladino della dignità di una squadra, quando, invece, è avvenuto esattamente il contrario. Millantare di essere un maestro del giornalismo, quando al massimo si è ricoperto il ruolo di cronista territoriale al caldo di una azienda statale e sotto la protezione dello storico politico di turno della prima Repubblica che, in quell’azienda di Stato,  ti ha collocato senza concorso e senza merito. Con queste caratteristiche ci vuole un bel coraggio a parlare di libertà e imparzialità. Tutto ciò, oggettivamente,   appare assolutamente penoso.

 

Rimango comunque dell’idea che lavorare e operare nel sistema dell’informazione in un terra come la nostra è sempre rischioso. Comitati d’affari, pezzi di massoneria, pezzi di potere arrogante tentano costantemente di infiltrare realtà che non sono controllabili e che non hanno padrini. I motivi possono essere diversi:  prenderne il controllo o tentare di distruggerle. Siamo consapevoli di ciò e siamo consapevoli che la tecnica più usata è sempre quella della Grecia antica del “Cavallo di Troia”. Ma proprio ricordando quel mitologico episodio, ci vengono in mente le parole pronunciate da Laocoonte ai Troiani per convincerli a non introdurre il famoso cavallo di Troia all'interno delle mura della città: “Timeo Danaos et dona ferentis” ("Temo i greci anche quando portano doni"). E noi di LaC da oggi,  terremo sempre bene a mente l’antico avvertimento di Laocoonte.

 

Pasquale Motta

Direttore Lacnews24.it

Giornalista
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