La tratta delle schiave del sesso in Calabria tra riti voodoo, violenze e minacce

Il sogno di un lavoro, il rituale alle presenza di uno stregone per sugellare l’accordo, l’arrivo in Italia e l’incubo della prostituzione. La denuncia di una delle vittime scoperchia un vaso di Pandora
di Manuela Serra
19 dicembre 2017
16:31

L’opportunità di un lavoro “legale” in Italia. Questa la promessa fatta a decine di giovani straniere e un rito voodoo per sugellare l’accordo alla necessaria presenza di uno stregone. Proprio il rito diventa una spiegazione del comportamento delle donne, come se queste fossero vittime di un incantesimo e prive di una propria volontà libera. Lo scopo è impedire che le vittime rivelino l’identità dei trafficanti o i dettagli del rituale e indurle a pagare il loro debito nel modo stabilito e senza creare problemi. Secondo le credenze infatti, venendo meno al giuramento si può andare incontro a malattie gravi, alla pazzia o alla morte propria o dei congiunti. A questo si aggiunge il disonore in patria per essere venuti meno all’impegno preso.


Inizia così l’inferno delle donne vittime di tratta.


La figura della "madam"

È lei che gioca un ruolo cruciale. È la “madam”, che spesso è anche lo sponsor che finanzia il viaggio. “Ordinano” le ragazze - si legge nel fermo dell'operazione odierna - in qualche caso le reclutano e sorvegliano tutto il processo della tratta dal reclutamento allo sfruttamento. Il viaggio dalla Nigeria in Europa ha un costo elevato, compreso fra 25.000 e 30.000 euro ed oltre. In genere le vittime sanno di indebitarsi con i trafficanti, ma vengono informate dell’entità del debito solo quando arrivano in Europa.

La promessa di una vita migliore

È dalla denuncia di una delle vittime che sono partite le indagini coordinate dalla Procura di Catanzaro che hanno permesso di portare alla luce una vera e propria attività di sfruttamento della prostituzione. Nelle parole della donna la speranza di una vita migliore: «Ho lasciato il mio paese e sono venuta in Italia per migliorare la mia condizione di vita e quella dei miei familiari rimasti in Nigeria per raggiungere l'Italia, dove sarei stata aiutata a trovare un lavoro legale, che mi avrebbe consentito di restituire gradualmente la somma di circa 15mila euro, che mi era stata anticipata per affrontare il viaggio, e di guadagnare per aiutare economicamente i miei familiari».

Il giuramento

E poi il rituale per sugellare l'accordo: «Prima della partenza, avevo dovuto giurare – racconta ancora la donna agli inquirenti - attraverso un rito wudu praticato da uno stregone, di restituire questa somma economica una volta giunta in Italia e che avrei dovuto rispettare le indicazioni della signora (madame) che mi avrebbe indicato il lavoro da fare».

Il viaggio, le violenze

La donna racconta di essere partita dalla Nigeria per giungere in una macchina fino in Libia, attraversando il Niger e il deserto. «È stato un viaggio completamente diverso rispetto a quello che mi avevano prospettato: nel deserto sono stata violentata da altri nigeriani. In Libia sono rimasta tre quattro mesi a casa di un signore ghanese, che si faceva chiamare papa, che costringeva me e altre cinque ragazze anche loro nigeriane a fare sesso con lui e con altre persone abitanti la sua casa.Non avevamo altra scelta perché non ci facevano uscire e, se non ci concedevamo a tutto quello che ci chiedevano, non ci davano da mangiare e ci picchiavano».

Il campo in Libia e l’arrivo in Italia

Riferisce agli inquirenti ancora di aver trascorso quattro mesi a casa «di questo signore» per poi essere trasferita in un altro posto: «Era una specie di campo in Libia, dove vivevano tante persone, alcune delle quali venivano continuamente a chiedere a me e alle altre cinque ragazze di praticare attività sessuale.


Da questo campo libico ci hanno trasportato sulle coste e ci hanno fatto salire su una barca. Subito dopo lo sbarco, sono stata identificata e portata prima in un centro di accoglienza in Sicilia e poi in un altro in Calabria. «Giunta in Calabria ho contattato la “madame”».

L’incubo della prostituzione

L’arrivo a casa della madam. E qui la notizia che avrebbe dovuto prostituirsi: «Le prime volte non riuscivo, mi vergognavo e i clienti non si fermavano. Rientrata a casa, lei mi diceva che non avevo lavorato bene e non mi faceva mangiare e mi diceva che se non avessi lavorato, non mi avrebbe fatto rimanere lì e avrei passato grossi problemi. Tutte le volte che tornavo senza soldi rimanevo senza mangiare».

Costretta ad abortire in casa

E poi l’incubo nell’incubo. Mary racconta agli inquirenti una verità agghiacciante. A seguito delle violenze subite durante il viaggio per raggiungere l’Italia rimase incinta. «Ero incinta di circa 5 mesi - si legge nel fermo - e mi hanno costretta ad abortire, portandomi in una casa privata. Qui, un uomo di colore, del quale non conosco il nome, mi ha dato alcuni medicinali che mi hanno provocato un aborto spontaneo, uccidendo il feto. Io ero contraria ad abortire, ma sono stata obbligata».

Giornalista
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