Stupro di Melito, reintegrato in servizio il poliziotto che consigliò al fratello di tacere

Antonino Schimizzi vince il ricorso al Tar della Lombardia. Anche lui ebbe rapporti con la ragazzina, ma non si trattò di stupro. Salvato dai giudici: in quel periodo era nell’esercito
di Consolato Minniti
10 gennaio 2018
16:43

Torna in servizio Antonino Schimizzi, l’agente che era stato destituito dalla Polizia di Stato, dopo l’inchiesta “Ricatto” che portò all’arresto di un branco di presunti stupratori di una ragazzina residente a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria. Lo ha deciso il Tar Lombardia che ha accolto il ricorso dell’agente di polizia. A darne notizia è “Il Giornale”, in un articolo a firma di Luca Fazzo.

Antonino Schimizzi è il fratello di Davide, quello che la giovane vedeva come suo fidanzatino e che invece, stando a quanto raccolto dagli investigatori, si tramutò nell’uomo che diede inizio al suo incubo durato diverso tempo. Perché furono vari giovani ad abusare di lei, ad approfittare di quella condizione di ragazzina ormai vessata, che la fece precipitare in un vortice tremendo da cui, fra grandi difficoltà, è riuscita a venire fuori.


 

Il rapporto con la ragazza

Anche Antonino Schimizzi ebbe un rapporto con la giovane. Fu lei stessa a rivelarlo. Ma si trattò di un atto consenziente, come disse la stessa ragazza. «C’è stato però non faceva parte di questo ricatto. Però ci siamo sentiti, così messaggiato e poi ci siamo visti», mise la giovane a verbale. «È stata una cosa… voluta da me e in parte anche da lui nel senso da me in base al fatto che… dopo questi ricatti, queste cose che erano successe io non avevo più stima in me stessa. Diciamo sempre sono una merda, sono cose così».

 

Di certo c’è che il racconto della giovane, sebbene non fece scattare l’accusa per l’uomo, però provocò comunque una valutazione netta da parte del gip Bennato, che emise l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti delle persone indagate: «La giovane parla di consenso, ma la sua volontà già acerba ed incompleta per età e condizione evolutiva, era fortemente viziata e mutilata da una condizione di disistima e di disprezzo per la propria persona e di totale svilimento del proprio corpo che, invece di prepararsi gioiosamente e correttamente a vivere in pieno la propria femminilità era stato ridotto (non da lei, ma da un manipolo di balordi) ad oggetto da usare al soddisfacimento dei propri brutali e patologici istinti sessuali. Se tuttavia non vi sono elementi per collocare il rapporto sessuale quando la ragazza era infraquattordicenne, né per ritenere che la stessa fosse stata comunque costretta a consumarlo, non vi è dubbio che Antonino Schimizzi, vi è più a cagione della professione di poliziotto, fosse pienamente a conoscenza degli abusi subiti dalla minore».

I consigli al fratello

Ma il ruolo di Antonino Schimizzi venne fuori, invece, quanto ai consigli dati al fratello Davide, che temeva di essere coinvolto nella vicenda dello stupro. Questi, infatti, chiese lumi al fratello poliziotto sul comportamento da tenere nel caso in cui fosse stato chiamato in caserma dai carabinieri, dopo le parole della ragazza. «Si vabbè, può andare avanti con quello che vuole. Allora tu – disse il poliziotto al fratello – in ogni qualsiasi caso ti chiamano, tu vai e dici io non mi ricordo niente! Perché no! Gli devi dire che quando mi chiamate in giudizio poi ne parliamo, adesso a titolo informativo non vi dico niente! E scrivete quello che volete! Non ho nulla da dichiarare! Esattamente così! Così gli devi dire! Davide non fare u stortu, così gli devi dire, perché altrimenti ti fanno fare, ehm ti danno un’altra cosa, tu non gli dire niente, perché se gli dici qualcosa fanno un’altra cosa loro, capito? E poi rompono i coglioni!».

Parole che costarono a Schimizzi, nel gennaio di un anno fa, la destituzione dal servizio perché, secondo la polizia di Stato, con i suggerimenti al fratello «ha denotato l’assenza dei valori di lealtà, rettitudine e abnegazione che devono rappresentare il patrimonio genetico di ogni appartenente alla polizia di Stato». Una decisione dura a cui Schimizzi non si è rassegnato. Ed il Tar della Lombardia gli ha dato ragione. Perché? Per i giudici amministrativi, quando ebbe quei rapporti sessuali con la ragazzina, non era in polizia ma nell’esercito. Mentre sul versante dei consigli dati al fratello, la decisione del Tar sembra non affrontare direttamente la questione. Mentre il branco oggi si trova a processo davanti al Tribunale di Reggio Calabria, Schimizzi può tornare a fare il poliziotto. Almeno in attesa di una decisione definitiva.

Consolato Minniti

 

Giornalista
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