SISTEMA SCIMONE | In manette dipendente di banca con la passione per la politica: «Cambiò soldi sporchi»

Tindaro Giulio Barbitta è accusato di aver messo a disposizione le proprie professionalità per l’imprenditore Mordà. Dal cambio di denaro illecito al concorso nella fittizia intestazione di beni. Ecco la struttura associativa
di Consolato Minniti
19 febbraio 2018
20:20

C’è anche un dipendente di banca fra le 27 persone fermate questa mattina dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Si tratta di Tindaro Giulio Barbitta, 34 anni, in servizio in una delle filiali cittadine del Monte dei Paschi di Siena, impegnato sul fronte sindacale e con un passato in politica nella fila di An a livello circoscrizionale, nonché candidato consigliere comunale alle ultime elezioni del 2014 nella lista "Insieme a Dattola". Nei suoi riguardi gli inquirenti ipotizzano i reati di riciclaggio, tre episodi di concorso sostanziale in intestazione fittizia di beni e poi anche l’accusa di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di una pluralità di delitti «funzionali a schermare e tutelare gli interessi economici di Mordà, al fine di eludere l’applicazione di misure giudiziarie a carattere patrimoniale, nonché una pluralità di delitti funzionali a garantire a Mordà la gestione occulta e illecita dei flussi economici di origine delittuosa che confluivano nelle sue imprese e l’utilizzo di queste utile ai fini predetti».

L’associazione per delinquere

Di tale associazione, secondo la Dda, facevano parte: Antonino Mordà, quale capo e promotore; Pietrangelo Crocé quale organizzatore e poi tutti gli altri partecipi. In particolare – si legge nei capi d’imputazione – «Domenico Mordà, Maria Mordà, Patrizia Mordà, Caterina Palmina Polimeni, Giuseppe Pulitanò, Carmelo Caridi detto “Carmine” (anche per il tramite della moglie Olga Iacopino), quali intestatari formali di quote sociali o ruoli amministrativi in questa, finalizzati ad occultare la riferibilità di tali imprese ad Antonino Mordà, nonché di assumere le decisioni e scelte sociali ed operative-aziendali, indicate da quest’ultimo; gli ultimi due, anche in funzione di concreta collaborazione nelle attività di trasporto di ingenti quantità di contante provenienti dalla Campania e di compartecipazione nella gestione e distribuzione di tali proventi di attività delittuose». E poi ancora, avrebbero fatto parte dell’associazione «Domenico Mordà, Teresa Chirico, Antonino Carlo Chirico, quali consiglieri e sostenitori delle scelte di Antonino Mordà, nonché concreti esecutori delle sue scelte». All’interno del gruppo vi sarebbe anche Domenico D’Agostino, quale «stabile e continuativo detentore di somme di provenienza delittuosa necessarie all’operatività dell’organizzazione criminale». Tindaro Giulio Barbitta e Aldo Crapanzano, invece, sarebbero stati «stabili consulenti dell’associazione, in relazione alle loro specifiche competenze (finanziarie il primo, legali il secondo), volte ad eludere la normativa vigente ed agevolare le attività di riciclaggio e reimpiego che gli altri sodali eseguivano».


I soldi da cambiare in banca

Gli inquirenti hanno messo insieme tutti gli elementi che hanno condotto al fermo di Barbitta. Tutto parte da diverse conversazioni registrate il 4 giugno 2015 nell’ufficio di Mordà, fra lo stesso e gli anziani genitori a proposito di una cospicua somma di denaro che la famiglia custodisce nella propria abitazione. Bisogna prendere dalla “cassa” 55mila euro e vengono fuori le difficoltà a poter cambiare tali banconote. Dal tenore della conversazione sembra che Mordà debba versare in banca una somma, non meglio indicata, a copertura di assegni che suoi fornitori verseranno nei giorni successivi. L’espressione è chiara: «Avimu a viriri comi cazzu mi cambiamu sti cosi!», con ciò lasciando intendere che potrebbe trattarsi di banconote di grosso taglio, il cui versamento in banca, in assenza di adeguata giustificazione (che evidentemente manca, suppongono gli investigatori), comporterebbe una segnalazione ad opera dell’istituto di credito. Ed allora si pensa di “cambiare” ciascuno una modesta somma: Crocé si offre di cambiare 2-3mila euro. Nino Mordà chiede quanti soldi potrebbe cambiargli “Giulio”, identificato in Tindaro Giulio Barbitta. E il padre Domenico risponde che potrebbe cambiare almeno 5-6 mila euro. La discussione continua e, scrivono gli inquirenti, «Nino Mordà rimane in ufficio con Pietrangelo; il padre dice a Pietrangelo di andare da qualche parte per cambiare ulteriori banconote; Pietrangelo risponde che cercherà di cambiarle anche per cassa; Mordà gli chiede quanto pensa di poterne cambiare; Pietrangelo risponde che almeno tre mila glieli cambieranno a Santa Caterina; Mordà gli chiede se glieli cambieranno anche al padre; il padre risponde facendogli intendere di si e Mordà inizia a contare sino a sei». Da questa conversazione si evince come dovrebbe trattarsi di sei banconote da 500 euro per un totale di 3mila euro, evidentemente i 3.000 che Crocé conta di cambiare all’istituto di Santa Caterina.?«Il padre – scrivono ancora gli investigatori – suggerisce a Nino di versarne un quattromila al Banco di Napoli; Pietrangelo gli dice che altri tremila li potrà cambiare al viale Calabria; parlano anche di un assegno della Banca Mediolanum; Mordà dice a Pietrangelo di versarlo alla Banca Popolare del Mezzogiorno così potranno cambiare anche lì».

La conversazione riprende e Mordà domanda: «”Non è che avete versato i 500!" e Pietrangelo lo rassicura dicendogli che hanno versati solo due pezzi, mentre gli altri li hanno cambiati al Monte dei Paschi a Catona, 10.000 in due soluzioni a Santa Caterina dalla “signorina”, una parte li ha cambiati lui stesso alla Banca Carime e 13.500 glieli ha cambiati “Giulio”. Mordà gli parla di altri soldi da versare e Pietrangelo gli risponde “e dove li cambiavo gli altri? Ha 3000 tuo padre a pezzi da 500!”».

 

Le accuse a Barbitta

È sulla base di questi elementi che, per gli inquirenti, si integrerebbe l’attività di riciclaggio prima e di reimpiego di proventi di attività delittuosa. E, ancora i magistrati sul punto, «nel novero dei soggetti pronti ad agevolare le necessità di ripulire i proventi delle attività delittuose e gestire occultamente le imprese intestate fittiziamente a terzi, da parte di Mordà, non sono mancati numerosi dipendenti e funzionari bancari». La gran parte non sono stati identificati, mentre uno di loro sì: ed è Tindaro Giulio Barbitta. Su di lui gli investigatori hanno raccolto elementi «attestanti la sua prossimità personale e professionale al Mordà ed al suo braccio destro aziendale: Pietrangelo Crocè, Tali elementi dimostrativi rassicurano sulla sua chiara consapevolezza in ordine all’origine illecita delle banconote da 500 euro, scambiate in altre di taglio inferiore, che gli erano state portate a tale scopo da Crocè». Ma non c’è solo questo. Sono stati anche acquisiti «efficaci elementi di prova – che nel contesto delle accennate relazioni fiduciarie rinsaldate dall’assunzione della moglie presso una delle imprese riferibili al Mordà – hanno consentito di dimostrare le condotte di concorso nella gestione dei flussi finanziari di numerose imprese che Mordà aveva fittiziamente intestato a terze persone, in funzione di successivo riciclaggio e reimpiego dei proventi delle attività delittuose».

Dagli accertamenti effettuati, sono stati registrati numerosi contatti fra Mordà e Barbitta. Si parla di circa 450 contatti dal novembre 2013 al luglio 2014, «senza considerare le chiamate che, verosimilmente, sono state effettuate utilizzando utenze fisse o altre utenze non intercettate».

In un’altra intercettazione, questa volta del dicembre 2013, Mordà chiede a Barbitta «se ha da parte quelle cose che prende lui di solito. Giulio gli dice che ne ha nove. Nino gli riferisce che passerà a prenderseli e gli chiede di procurargliene ancora». Cosa sono queste cose? Non è dato sapere, ma, dicono gli inquirenti, «si tratta di cose che è meglio non indicare».

In una ulteriore conversazione, del novembre 2013, Barbitta dà informazioni rassicuranti a Mordà su alcune carte di credito, precisando, tuttavia, che «Maria è fuori di circa 1000 euro». Anche in questo caso, «il fatto che Barbitta dia informazioni a Mordà sullo “stato di salute” economico della sorella, rende evidente il fatto che Nino dispone liberamente anche dei conti personali della sorella, in quanto evidentemente a lui di fatto riconducibili. E di questa sensazione – rimarcano gli inquirenti – Barbitta dimostra di esserne ben consapevole». Ennesimo riscontro è l’sms che nel dicembre 2013 Barbitta invia a Mordà, in cui l’avverte che «sul conto Mordà Maria bisogna versare 610 euro». Ancora, in un’altra occasione Crocè chiama Barbitta per farsi dare il numero di conto corrente della “Tassone 1875 srl”, altra società riconducibile a Mordà. Barbitta dice che lo richiamerà, «evidentemente consapevole che trattasi di un’altra proprietà occulta di Nino Mordà».

Ma è il 20 febbraio 2014 la data che gli inquirenti sottolineano maggiormente. «Pietrangelo Crocè viene contattato telefonicamente da Giulio Barbitta che lo informa sullo “stato di salute” del conto corrente della Pical (altra società riconducibile, di fatto, a Nino Mordà), proponendogli di versare l’importo in passivo su detto conto “bloccato in quanto sconfinato da oltre dieci giorni lavorativi”, anziché su quello della “Mordà elettronica srl”. Poi chiede a Pietrangelo se smorzare il versamento della Mordà elettronica di 200 euro per versarli sul conto Pical o se è il caso di chiedere il da farsi direttamente a Nino Mordà; Pietrangelo, che è in ufficio in compagnia di quest'ultimo, gli dice che gliene parlerà e fra qualche minuto gli farà sapere. Pietrangelo, dopo essersi consultato con Nino, richiama Giulio per riferirgli che provvede immediatamente a fare un versamento per la Pical e per chiedergli di mandargli l'estratto conto della stessa. Giulio a questo punto chiede conferma se deve effettuare solo un versamento di 100 euro per la ditta individuale in passivo di 4 euro. Pietrangelo gli passa al telefono Nino. Giulio pone a Nino la stessa domanda, e cioè se deve versare un centinaio di euro sul conto della sua ditta individuale come suggerito dal padre (Mordà Domenico nd.r.). Nino risponde di no, di versare solo cinque euro». Ed è a questo punto che per gli investigatori, si dimostra come «Barbitta dà conto a Mordà, e da lui riceve disposizioni su come operare, in relazione a conti correnti intestati società a lui formalmente estranee».

 

Ci sono, infine, altre due conversazioni che riguardano Barbitta. La prima è una telefonata dove Barbitta chiama Pietrangelo Crocè per dirgli che “Peppe” può andare in banca per aprire il conto. E Peppe è Giuseppe Pulitanò, già amministratore unico della “Mordà elettronica Bianco srl”. E poi un’ultima conversazione il 2 aprile 2015. Barbitta si reca nell’ufficio di Mordà a Gallico. Nel corso del dialogo, Barbitta dà suggerimenti vari a Mordà «su come gestire i conti correnti accesi presso il Monte dei Paschi di Siena».

In sintesi, quindi, «le varie intercettazioni analizzate rendono palese che Mordà viene consapevolmente percepito da Barbitta come il reale dominus di tutta la galassia di società che Mordà stesso ha creato con la schermatura di prestanomi.?Ma non solo. Le richieste in merito al cambio di banconote da 500 euro, inoltrate a più riprese a Barbitta, hanno senza dubbio consentito a quest’ultimo (anche in virtù delle sue privilegiate conoscenze in quanto operatore del settore bancario) di rendersi conto anche della provenienza illecita di quel denaro, in relazione al quale si è comunque, consapevolmente, adoperato a cambiarlo in tagli “non sospetti”». Barbitta, tuttavia, non è l’unico a mostrarsi accomodante con Mordà. Vi sono anche altri dipendenti bancari, uno, in particolare, di Catona. Su di lui, però, non sono stati raggiunti elementi sufficienti per muovere accuse.

Consolato Minniti

Giornalista
GUARDA I NOSTRI LIVE STREAM
Guarda lo streaming live del nostro canale all news Guarda lo streaming di LaC Tv Ascola LaC Radio
top