Scalea, operazione Plinius | Iacovo non è un mafioso

Secondo le motivazioni della Corte d’Appello di Catanzaro “la riconducibilità del Iacovo alla cosca è il frutto di mere ipotesi investigative, rimaste prive di riscontri univoci.” Per questi motivi conclude la CdA di Catanzaro “Iacovo quindi senz’altro va assolto, perché il fatto non sussiste”. Nel processo di Primo grado, il Tribunale di Paola gli aveva inflitto 4 anni e 8 mesi

di Redazione
3 novembre 2017
10:20

Agostino Iacovo, “assolto del reato ascrittogli perché il fatto non sussiste” con questa formula, la più ampia, la Corte d’Appello di Catanzaro a luglio ha scagionato definitivamente Iacovo, imprenditore cetrarese, da accuse pesanti come concorso esterno all’organizzazione ‘ndranghetista e istigazione alla corruzione. Ma facciamo un passo indietro. L’operazione nella quale era rimasto coinvolto Iacovo era denominata Plinius e determinò lo scioglimento del comune di Scalea per infiltrazioni mafiosa. All’alba di un giorno di luglio del 2013 i carabinieri di Scalea avevano portato all’esecuzione di 39 arresti. Nella vicenda furono coinvolti anche il sindaco, cinque assessori ed il comandante della polizia municipale di Scalea. Sulla base delle indagini in merito alla presunta infiltrazione dell’Amministrazione comunale da parte della criminalità organizzata, il 25 febbraio 2014, il Presidente della Repubblica decretò lo scioglimento del Consiglio Comunale di Scalea. Agostino Iacovo, imprenditore, all’epoca dei fatti svolgeva le mansioni di direttore commerciale della Pubblidei, un’impresa di promozione pubblicitaria.



La vita di Iacovo venne stravolta in quella mattina di luglio, ritrovandosi tra i destinatari dei provvedimenti giudiziari di quell’operazione. Le accuse erano pesanti, istigazione alla corruzione, concorso esterno in associazione mafiosa. Da imprenditore, da persona che aveva sempre lavorato si ritrovò in manette con un’accusa pesantissima, addirittura, gli veniva contestato di essere un prestanome delle cosche del Tirreno cosentino. Roba da far tremare i polsi.


Le conseguenze collaterali non tarderanno a manifestarsi, sia sul piano economico imprenditoriale, sia sul piano personale.Le vicende giudiziarie si portano dietro la gogna mediatica che, oggi, in epoca internauta e di social, non si limita più al classico titolo di prima pagina, ma invece, significa esposizione mediatica continua, l’onta, infatti, continua a navigare per giorni, per mesi, per anni, inarrestabile. Quando sei raggiunto da accuse come quelle di cui è stato raggiunto Agostino Iacovo poi, spesso, più che da un sereno giudizio sei valutato con il peso di un forte pregiudizio. D’altronde, nel Tirreno cosentino, le organizzazioni mafiose hanno una lunga storia di vessazioni, prepotenze e si portano dietro una lunga scia di misteri e sangue. Iacovo, dunque, affronta il processo di primo grado al Tribunale di Paola in questo contesto e rimedia una condanna a 4 anni e 8 mesi. Una condanna pesante. Il Tribunale sostanzialmente accoglie la tesi accusatoria formulata dalla Procura. Altre traversie, nuove gogne mediatiche, ma Iacovo non demorde, non smettendo mai di gridare la sua innocenza. Ricorre in appello.




A poco più di quattro anni dall’arresto, a due anni dalla condanna in primo grado, a luglio di quest’anno, Agostino Iacovo viene ritenuto innocente dalla Corte d’Appello di Catanzaro con la formula più ampia: “perché il fatto non sussiste”. Pochi giorni fa, il deposito delle motivazioni. Motivazioni che lasciano esterrefatti perché demoliscono sia l’impianto accusatorio che la sentenza di primo grado. La Corte d’Appello, demolisce le intercettazioni sul piano formale. Nessuna prova del legame con la cosca. Iacovo secondo un passaggio delineato dal quadro accusatorio veniva definito “imprenditore di riferimento”. Lo assolve del “tentativo di istigazione alla corruzione”, secondo la CdA non c’è alcuna prova di questo tentativo. Iacovo viene ritenuto dall’accusa imprenditore “colluso”, secondo la CdA non risulta nessun atto compiuto da Iacovo che confermi questa ipotesi accusatoria.


In ragione di ciò, dunque secondo le motivazioni della CdA, affermano che l’ipotesi di concorso esterno alla cosca mafiosa non è sostenibile e risulta infondata. La CdA arriva a conclusioni nette: “la riconducibilità del Iacovo alla cosca è il frutto di mere ipotesi investigative, rimaste prive di riscontri -univoci-.” Per questi motivi conclude la CdA di Catanzaro “Iacovo quindi senz’altro va assolto, perché il fatto non sussiste”.



La vicenda di Agostino Iacovo dopo 4 anni termina qua, arresto, processo, gogna mediatica e poi l’assoluzione piena. Iacovo dunque, non è mafioso. Una vicenda che, per fortuna per lui e la sua famiglia, si è conclusa bene ma che, tuttavia, lascia l’amaro in bocca, in relazione allo stato della giustizia nel nostro paese; uno stato cosi pericoloso per la tenuta stessa del Diritto, al punto da far sostenere ad un noto professore di diritto penale di una nota Università italiana, al termine di una lezione sulla procedura penale ai suoi studenti, ricordate : “in Italia siamo tutti in libertà provvisoria”. Per fortuna però, ancora, non c’è un solo grado di giustizia e, quindi, il famoso “Giudice a Berlino” si riesce ancora a trovare, ma ciò, ci deve far riflettere sulle proposte di alcuni cialtroni della politica e del giornalismo forcaiolo che vorrebbero ridurre il processo penale ad un solo grado di giustizia. Se una proposta del genere fosse passata, Agostino Iacovo, oggi sarebbe in una cella a scontare 4 anni e 8 mesi da innocente così come ha statuito la CdA di Catanzaro due anni dopo la sua condanna da parte del primo giudice.



Pa. Mo.

 

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