Delitto Adele Bruno a Lamezia, le zie all'omicida: “Ce l’ha uccisa due volte”

A sei anni dalla tragica uccisione della ventisettenne la città non dimentica. Il dolore dei familiari: “Se avesse confessato subito avremmo potuto ritrovarla ancora in vita”
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di Tiziana Bagnato
30 ottobre 2017
14:39
Adele Bruno
Adele Bruno

 “Ce l’ha uccisa due volte. Se avesse confessato subito anziché prenderci in giro, accompagnandoci a cercarla e addirittura in commissariato,  avremmo potuto ritrovare Adele ancora in vita”. A parlare così sono Lidia e Patrizia Bruno, le zie della ventisettenne lametina uccisa nella notte del 30 ottobre del 2011 dal suo ex fidanzato, Daniele Gatto.

Una ragazza solare ed ingenua

Una ragazza come poche e allo stesso tempo come tante Adele. Piena di sogni e di speranze per un futuro ancora tutto da costruire, estremamente affettuosa e allegra, ma anche molto buona, forse un po’ ingenua. Ecco perché aveva deciso di rimanere vicino al suo ex anche dopo la fine della relazione. Le dispiaceva, spiegano le zie, per la difficile e pesante situazione personale di lui, trentenne imbianchino, all'epoca disoccupato e con alle spalle un matrimonio concluso e un figlio.


 

Con la fine della storia con Adele per Daniele era arrivata l’ennesima delusione, l'ennesima porta in faccia. E forse è stata questa a fare scattare in lui l’intento omicida, anche  se lui condannato a 30 anni con rito abbreviato, il perché del delitto e, soprattutto, della furia con cui si è avventato sul volto di Adele, non ha mai saputo o voluto spiegarlo in nessun’aula di tribunale.

Una relazione che nessuno vedeva di buon occhio

“Non poteva averla lui, allora ha fatto in modo che non potesse averla più nessuno”, spiega la cugina Caterina, secondo cui Daniele avrebbe pensato l'omicidio anche per punire la famiglia di Adele che non aveva mai appoggiato quella relazione con uomo divorziato. Una relazione che tutti vedevano zoppicante, che non li convinceva e su cui avevano messo in guardia Adele.

Quel maledetto 30 ottobre Adele doveva andare ad un diciottesimo. L’indomani, invece, sarebbe stato il suo compleanno e avrebbe compiuto 27 anni. Aveva già pronto il vestito nero con la fascia arancione che avrebbe indossato, così come tutti gli accessori. La moda e l’estetica erano la sua passione, ecco perché aveva deciso di iscriversi ad una scuola per conseguire il diploma di estetista.

Uscì di casa convinta di rientrare subito

Verso le 17 Adele comunica ai genitori di dovere uscire per poco con Daniele. Non porta con sé nulla, né il cellulare né una borsa, a dimostrazione che è convinta di tornare a casa a breve. Il telefono che il ragazzo le aveva regalato un mese prima è in riparazione e Daniele le dice che potrebbe essere arrivato. Vanno a ritirarlo al centro commerciale Due Mari. Le telecamere li inquadrano, confermano che i due vanno in un negozio di telefonia. All’uscita  però Daniele non riporta a casa Adele, cambia strada e le chiede di andare a parlare. Si fermeranno in località Montesanti, nella periferia di Lamezia, in un uliveto, accanto ad un casolare diroccato.

La furia omicida e la messa in scena

Qui avverrà l’omicidio. Prima una colluttazione in macchina, poi il tentativo di Adele di fuggire ma a quel punto Daniele è ormai fuori di sé, la colpisce più volte, si scaglia contro il suo viso e poi la lascia agonizzante sotto un albero. 

 

L'assassino poi torna casa dove  si disfa degli abiti, li butta in un cassonetto ed inizia la sua messa in scena. Si reca a casa di Adele dove i genitori sono già in ansia per il mancato rientro della figlia e chiede a loro dove sia, poi improvvisa di averla lasciata da un’amica perché temeva fosse incinta e voleva fare un test di gravidanza, ma, stranamente, non ricorda dove l’amica abiti. Va, perfino, in commissariato con il padre di Adele a sporgere denuncia per la scomparsa.

La confessione

Poi la notte il ripensamento. Alle quattro del mattino Daniele va a confessarsi da uno zio sacerdote che lo accompagnerà a costituirsi.

Viene scelto il rito abbreviato. Gli avvocati di lui presentano perizie per dimostrare che Daniele abbia un’anomalia genetica che lo abbia reso al momento dell’omicidio incapace di intendere e di volere.  Ai processi fuori lo attende una folla inferocita che grida giustizia per Adele. La condanna a trent’anni per i parenti di Adele rimane poca cosa.  “Non serviranno a restituirci la nostra Adele – dicono le zie – lui continuerà a vivere, dormire, mangiare, respirare, a vedere nelle ore di visite i suoi cari. Noi Adele l’abbiamo persa per sempre”.

 

Tiziana Bagnato

Giornalista
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