‘Ndrangheta, operazione Jonny: “Dobbiamo dare lavoro al posto dei politici”

Dagli atti dell’inchiesta emerge pure che gli affiliati ai clan volevano imporre alle forze dell’ordine di non indagare sul loro conto
di Giuseppe Baglivo
17 maggio 2017
14:11
Municipio Isola Capo Rizzuto
Municipio Isola Capo Rizzuto

Occorreva mantenere “l’ordine” nel Crotonese, ed in particolare ad Isola Capo Rizzuto. Un “buon ordine” imposto dai clan perché questo ritenevano fosse uno dei loro compiti principali. Non della politica o delle forze dell’ordine, ma esclusivamente della ‘ndrangheta. Ed i posti di lavoro? Li dovevano creare e distribuire le cosche. Perché la politica non ne sarebbe mai stata capace e, in ogni caso, i politici erano stati eletti dalla ‘ndrangheta e quindi le direttive alla fine le avrebbero date comunque i mafiosi.

E pure le forze dell’ordine si dovevano adeguare a non indagare nei loro confronti. Con le buone o con le cattive.


 

E’ quanto emerge dagli atti dell’inchiesta Jonny contro i clan di Isola Capo Rizzuto. Nel corso di una conversazione intercettata, infatti, Domenico Riillo, alias “Trentino”, 58 anni, ritenuto dagli inquirenti legato al clan dei Nicoscia, auspicando l’imminente scarcerazione di Giuseppe Arena, si sarebbe riproposto di unire tutti i vertici della cosca al fine di rimettere “in ordine” Isola Capo Rizzuto e, in particolare, “creare lavoro e benessere per la popolazione, ritenendolo questo – sottolinea la Dda di Catanzaro - un loro compito principale e non dei politici che, a dire di Riillo, erano stati da loro eletti proprio per eseguire le disposizioni della cosca”.

Dobbiamo sistemare per primo il paese... il paese si intende sistemare la popolazione, la popolazione vuole stare tranquilla che deve mangiare... deve lavorare dobbiamo far creare posti di lavoro alle persone... noi li dobbiamo creare.... non la politica... l'abbiamo sempre creati noi non la politica...i posti di lavoro, glielo abbiamo fatto noi il culo ai politici del Comune, quello che dovevano fare e quello che non dovevano fare, noi dobbiamo gestire, non loro…”.

 

Emblematico è poi per i magistrati il commento di altro indagato dell’operazione Jonny, ovvero Maurizio Greco, alias “Spinzu”, 37 anni, il quale “riteneva che la cosca dovesse anche imporre alle Forze dell’Ordine di non indagare nei loro confronti”. La risposta di Riillo era per gli inquirenti altrettanto emblematica poiché lo stesso “velatamente minacciava ritorsioni contro esponenti delle forze dell’ordine che, a suo dire, avevano in qualche modo avuto un ritorno economico”.

 

“Gli sbirri – si legge nelle intercettazioni - non devono andare girando, quelli dormono, si devono stare lontani perché hanno mangiato, perchè è giusto che devono mangiare, ma devono stare lontani perchè non possono giocare con quattro mazzi di carte, altrimenti…”

Nella conversazione si aveva contezza, oltretutto, delle varie riunioni effettuate dai vertici della cosca e dei luoghi ove si erano tenute ed al riguardo, sottolineano gli inquirenti, Domenico Riillo si sarebbe lamentato del fatto che di tali summit, a causa dei confidenti, ne erano venuti a conoscenza i carabinieri. In particolare, le lamentele sarebbero state rivolte nei confronti di un maresciallo che “sa tutto, quello che si è detto nelle riunioni, quello che abbiamo fatto quando siamo andati al bar, sa quello che abbiamo fatto quando siamo andati al bar, sa della riunione quando l'abbiamo fatta a Cutro e sa delle riunioni che abbiamo fatto noi qua…”. Decisamente troppo per i gli uomini dei clan e segno che qualcuno ad Isola Capo Rizzuto stava facendo il confidente con i carabinieri.

 

Giuseppe Baglivo

Giornalista
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