Le estorsioni all’origine della faida Mesiano-Corigliano, le accuse contestate agli arrestati

L’imposizione della fornitura del pane prodotto dai Mesiano nel supermercato a Santa Domenica di Ricadi di proprietà dei Corigliano all’origine degli scontri culminati nell’esecuzione dei delitti
di G. B.
19 marzo 2018
10:38

La faida fra le famiglie Mesiano e Corigliano avrebbe avuto origine con la tentata estorsione operata da Francesco Mesiano, in concorso con il padre Giuseppe Mesiano, ucciso il 18 luglio del 2013, ai danni dei titolari del supermercato “Corigliano” con sede a Santa Domenica di Ricadi. Con violenza e minaccia i due Mesiano, padre e figlio, avrebbero prospettato a Giuseppe Corigliano il danneggiamento mediante incendio del suo supermercato. I Mesiano avrebbero voluto costringere i Corigliano a pagare loro una tangente per la mancata vendita del loro pane prodotto dal panificio “F.lli Mesiano”. L’interruzione dei rapporti di fornitura al supermercato era avvenuta nel luglio 2012 e l’imposizione della tangente avrebbe rappresentato – secondo la ricostruzione accusatoria del pm della Dda, Annamaria Frustaci e dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo – la condizione per il “sereno svolgimento della propria attività”.

L'intimidazione

Francesco Mesiano e Rocco Iannello il 16 luglio del 2013 avrebbero quindi appiccato il fuoco a Mileto al portone di casa della famiglia Corigliano. Francesco Mesiano viene indicato come il mandante dell’incendio, Rocco Iannello l’esecutore materiale. Il tutto quale “sanzione” per il rifiuto opposto da Angelo Antonio Corigliano (poi ucciso il 20 agosto 2013) di mettere in atto un danneggiamento all’esercizio commerciale di proprietà dei fratelli Corigliano, sito a Santa Domenica di Ricadi, al fine di costringere i titolari dell’attività commerciale a cedere alle loro richieste estorsive.


 


Minaccia aggravata dalle modalità mafiose è poi l’altra accusa contestata a Francesco Mesiano il quale avrebbe detto a Marianna Ventrice che lei ed i suoi familiari dovevano andarsene dalla loro proprietà di campagna sita in località Pigno del comune di Mileto, perché altrimenti le avrebbe incendiato la casa e avrebbe ammazzato il marito della donna, Giuseppe Corigliano. Francesco Mesiano avrebbe poi cercato di investire con il suo furgone la donna accelerando bruscamente subito dopo averla notata per strada, dirigendosi verso la stessa a gran velocità. Mariangela Mesiano, Pasquale Mesiano e Antonio Mesiano avrebbero pure loro concorso a minacciare con modalità mafiose Marianna Ventrice, colpendo la donna con calci e pugni e rivendicando l'uccisione del figlio Angelo Antonio Corigliano.

 

L'omicidio di Giuseppe Mesiano

In seguito all’incendio del portone di casa da parte di Francesco Mesiano e Rocco Iannello, Giuseppe Corigliano in concorso con il figlio Angelo Antonio (in foto poi ucciso il 20 agosto 2013) avrebbe quindi reagito uccidendo con sette colpi di pistola Giuseppe Mesiano il 17 agosto del 2013 Giuseppe Mesiano. L’accusa per Giuseppe Corigliano è quella di omicidio aggravato dalle modalità mafiose, oltre a quella di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di un’arma da fuoco.

 


Gaetano Elia e Giuseppe Ventrice sono poi indagati per il reato di favoreggiamento personale in quanto, dopo la commissione dell’omicidio di Giuseppe Mesiano, avrebbero aiutato gli autori del fatto di sangue ad eludere le investigazioni asportando le registrazioni contenute nel Dvr dell’impianto di videosorveglianza ubicato presso l’esercizio commerciale di Mileto in via Cultura numero 24 (che inquadrava il transito dei soggetti diretti verso la località Pigno presso l’abitazione della vittima). E successivamente distruggendo i filmati così acquisiti, omettendo di consegnarli ai carabinieri.

 Il delitto di Angelo Antonio Corigliano

L’omicidio di Angelo Antonio Corigliano (20 agosto 2013 a Mileto) in risposta all’omicidio di Giuseppe Mesiano viene contestato a Francesco Mesiano quale mandante; a Pasquale Pititto quale organizzatore delle fasi preliminari ed esecutive dell’azione di fuoco; a Salvatore Pititto e Domenico Iannello quali esecutori materiali del delitto; a Vincenzo Corso quale “braccio destro di Francesco Mesiano e referente del sodalizio criminale Pititto-Iannello, incaricato di presidiare i luoghi prescelti per la consumazione dell’omicidio, nonché di monitorare la vittima designata. Al delitto avrebbero contribuito Giuseppe Ventrice, quale titolare di una ditta di autotrasporti ed effettivo utilizzatore dell’impianto di videosorveglianza installato presso il magazzino di proprietà del padre sito a Mileto in via Cultura numero 24, Gaetano Elia quale tecnico installatore ed addetto alla manutenzione dell’impianto che – su richiesta di Francesco Mesiano e Vincenzo Corso – fornivano loro il Dvr contenente le registrazioni delle immagini dei responsabili dell’omicidio di Giuseppe Mesiano che, in data 17 luglio 2013, erano passati dinanzi al magazzino per dirigersi sul luogo del delitto.

 

Giornalista
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