Omicidio Ventura: vent’anni di silenzio e 200 giorni in attesa della sentenza (VIDEO)

Sembra non avere fine l'odissea per i familiari del fotografo ucciso. Il legale ha presentato un esposto al Gip del Tribunale di Catanzaro: «Impossibile anche chiedere il riconoscimento di vittime di mafia»
di Tiziana Bagnato
20 marzo 2018
13:51

«Oltre al danno la beffa». Italo Reale, avvocato dei familiari di Gennaro Ventura, il fotografo lametino vittima di lupara bianca ritrovato nel 2008 a Lamezia Terme casualmente in un casolare abbandonato, sintetizza così a LaC News24 quanto sta accadendo. Sembra essere una vita di attese, di silenzi e di speranze mal riposte quella toccata ai congiunti di Ventura. Quando finalmente il corpo è stato ritrovato, e dopo ulteriori interminabili anni di attese, l’assassino ha confessato indicando anche i suoi mandanti, dopo che il killer, il pentito Gennaro Pulice, è stato condannato a dieci anni di carcere, non sono ancora state depositate le motivazioni della sentenza.


Un ulteriore spreco di tempo, di giorni, di attesa di una giustizia che per i familiari del povero fotografo, carabiniere in congedo, sembra arrivare sempre a gocce e con estremo ritardo. Ma non si tratta solo di quel nodo di dolore, sofferenza e amarezza che da troppi anni tiene in ostaggio gli affetti del fotografo, ma anche di benefici di legge che rischiano di non potere avere. Senza il deposito delle motivazioni della sentenza la famiglia non può accedere al riconoscimento per le vittime di mafia. Ecco perché l’avvocato Italo Reale ha presentato un esposto al Gip del Tribunale.


 

L'esposto

«Non ci risultano, dopo circa 230 giorni, il deposito della sentenza né richieste di proroga – scrive Reale - qualsiasi omicidio è un fatto gravissimo ma il caso assume delle caratteristiche più odiose perché l’assassino ha ucciso il Ventura Gennaro il 16.12.1996 e ne ha nascosto le spoglie. Il corpo è stato ritrovato solo il 25.4.2008 per cui, per circa 12 anni, i familiari hanno cercato il congiunto, combattuti tra la speranza di una scomparsa volontaria e la certezza della morte. Lo strazio è stato enorme tale da distruggere ogni normalità anche per l’assenza di un luogo dove poter piangere il figlio ed il fratello. La moglie non ha sopportato il peso della situazione e delle dicerie che l’hanno accompagnata e si è trasferita in altra città del Nord togliendo ai nonni la consolazione del nipotino».


«Le chiedo di intervenire per ottenere il deposito della sentenza il cui ritardo non è indifferente neanche sotto il profilo della richiesta che la famiglia intende avanzare per ottenere il risarcimento per le vittime della mafia. Le aggiungo il grande sconcerto della famiglia che trova incredibile tale ritardo. Mi affido quindi alla sua iniziativa facendole presente che, in assenza del deposito, non potrò non chiedere conto alle Istituzione Giudiziarie nel loro complesso».

 

La storia

Gennaro Ventura, fotografo, carabiniere in congedo, scomparve nel nulla a Lamezia Terme il 16 dicembre del 1996. Anni e anni di ricerche, di buio totale fino al ritrovamento nel 2008 in un casolare abbandonato, con ancora accanto l’attrezzatura da lavoro, il cellulare, la fede nuziale e altri oggetti personali. Visibile a chiare lettere sulla borsa da fotografo il suo nome. Un ritrovamento che restituì un corpo su cui piangere. I funerali furono un bagno di folla. Finalmente qualcosa si era smosso, ma mancavano ancora i colpevoli. Si dovette aspettare l’operazione Andromeda affinché il pentito Gennaro Pulice si autoaccusasse del delitto. Il mandante, invece, sarebbe stato Domenico Canizzaro, deciso a punire l’ex carabiniere per avere portato all’arresto, quando era nell’Arma, di un suo familiare. Poi il processo in Corte d’Assise, la condanna e l’inizio di un nuovo limbo per i familiari di Gennaro Ventura.

Giornalista
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