Inchiesta sui reperti archeologici a Vibo: chiesti 11 rinvii a giudizio

Il pm chiede il processo per gli indagati dell’operazione “Purgatorio 3” del Ros di Catanzaro. Fissata anche l’udienza preliminare
di G. B.
1 giugno 2017
16:41

Associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici. E’ l’accusa per la quale il pm della Procura di Vibo Valentia, Filomena Aliberti, ha chiesto al gup il rinvio a giudizio per 11 indagati coinvolti nell’inchiesta denominata “Purgatorio 3” che mira a far luce sulle attività di alcuni presunti “tombaroli”.

 


La richiesta di rinvio a giudizio interessa: Giuseppe Tavella, 55 anni, di Vibo Valentia (difeso dall’avvocato Giuseppe Pasquino); Francesco Staropoli, 57 anni, di Nicotera, commerciante di auto a Vibo (avvocati Sebastian Romeo e Maria Grazia Pianura); Giuseppe Braghò, 69 anni, di Vibo Valentia (avvocati Diego Brancia e Francesco Sabatino); Gaetano Scalamogna, 56 anni, di Vibo Valentia; Pietro Proto,  53 anni, di San Nicolò di Ricadi (avvocato Mario Santambrogio); Orazio Cicerone, 43 anni, di Nicotera (avvocato Francesco Miceli); Alberto Di Bella, 45 anni, di Vibo Valentia (avvocato Santino Cortese); Francesco Agnini, 61 anni, di Vibo Valentia (avvocato Sandro Franzè); Carmelo Pardea, 47 anni, di Vibo Valentia (avvocato Francesco Sabatino); Rosario Pardea, 55 anni, di Vibo Valentia (avvocato Dorotea Rubino); Luigi Fabiano, 48 anni, cittadino svizzero residente a Thun (avvocato Wanda Bitonte).

 

Il gup del Tribunale di Vibo Valentia, Lorenzo Barracco, ha fissato l’udienza preliminare per il 5 ottobre prossimo.

 

Le accuse. Il reato associativo fa riferimento allo scavo abusivo di un cunicolo in via De Gasperi a Vibo Valentia, zona sottoposta a vincolo archeologico nei pressi dell’area dedicata un tempo alla ninfa Scrimbia. Da tale zona sarebbero stati trafugati reperti archeologici di ingente valore, esportati clandestinamente anche all’estero. Alcuni indagati si sarebbero impossessati pure di un capitello bizantino sottratto nel 2011 dal sito archeologico dell’Abbazia della Trinità di Mileto, trasportato per la vendita in Svizzera.

 

Al vertice della presunta associazione, la pubblica accusa – originariamente rappresentata dalla Dda di Catanzaro – collocava il boss della ‘ndrangheta di Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta” (deceduto in carcere nell’ottobre 2015). Le aggravanti mafiose sono però cadute per tutti gli indagati.

g.b.

Giornalista
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