Uccisa a bastonate 53 anni fa dopo aver offerto un pasto al suo folle omicida

STORIE DI CALABRIA / Pizzo, il delitto di Villa Emilia fu compiuto nel 1964 in un casolare che ancora oggi sorge lungo la strada statale 18 e attira gli sguardi dei curiosi
di Enrico De Girolamo
18 ottobre 2017
19:01

Una vecchia casa di campagna, un folle omicida e una vittima che offre un pasto al suo carnefice, ignara di quello che le sarebbe accaduto. Sono gli ingredienti di una storia di sangue che risale a 53 anni fa, consumatasi a Pizzo e ormai quasi persa nella memoria delle cronache calabresi. Se non fosse per Rocco Greco, attento cultore delle vicende che riguardano la sua terra, alla quale dedica con regolarità scritti e riflessioni.

 


I fatti in questione colpirono molto l’immaginario collettivo, per la crudeltà con cui fu commesso l’omicidio e per la casualità degli eventi. Teatro del delitto fu villa Emilia, un vecchio casolare che ancora sorge lungo la statale 18, a metà strada tra lo svincolo autostradale di Pizzo e il centro urbano. Impossibile non notarlo a causa del contrasto tra le sue linee architettoniche baroccheggianti e l’asfalto lucido di questo tratto di strada a scorrimento veloce.

 

Sul muro della casa ormai diroccata è ancora ben visibile la targa che ricorda l’atroce sorte di una donna di 68 anni, uccisa e abbandonata sotto un mucchio di letame proprio nel punto in cui è stata apposta la lapide commemorativa. All’ingresso del casolare, la frase in latino “Parva sed apta mihi”, “Piccola ma adatta a me”, testimonia l’atmosfera semplice e familiare di un luogo che fu scosso dall’imponderabile follia umana.

 

«Il 26 marzo del 1964, giovedì santo - scrive Greco - qui è stato compiuto un efferato delitto. Una donna, Vittoria Michienzi, sposata Scuticchio, fu brutalmente uccisa da un squilibrato». 

 

L’assassino, un emigrante originario di Giarre, in provincia di Catania, era stato dimesso da una clinica psichiatrica tedesca e stava tornando in Sicilia.

 

«Non si sa bene il motivo – continua Greco -, ma con tutta probabilità perché affamato, scese dal treno alla stazione ferroviaria di Francavilla Angitola e incamminatosi sulla Statale 18, in direzione di Pizzo, giunse a villa Emilia nelle prime ore del pomeriggio. Donna Vittoria era da sola, il marito ed il loro unico figlio, affittuari del fondaco e della campagna tutta attorno, si trovavano nelle terre a lavorare. Il giovane chiese subito da mangiare e da bere, cosa che la donna non esitò a fare, donandogli dell’acqua, del pane, olive e un pezzo di formaggio».

 

La fine del pasto scatenò la follia omicida e senza alcun motivo l’uomo si avventò sull’anziana donna. «Raccolse da terra un bastone e colpendola più volte alla testa l’uccise - prosegue Greco, che ha ricostruito la vicenda grazie a numerose testimonianze -. I familiari, giunti in serata, la cercarono prima nei paraggi e poi a Pizzo presso i parenti. Trovarono il suo corpo senza vita soltanto a sera inoltrata, davanti la casa, occultato sotto il letame nel punto dove poi è stata apposta la lapide in suo ricordo».

 

Dopo il delitto l’omicida non si era allontanato di molto e i carabinieri lo arrestarono il mattino seguente alla stazione di Francavilla Angitola, dove si apprestava a riprendere il treno per proseguire il suo viaggio verso la Sicilia.

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