Casi Chindamo e Pronestì, l’ombra invisibile dei clan

Nessun collegamento fra le due vicende che vedono protagoniste le donne di Laureana di Borrello. Due distinte indagini: una a Vibo e l’altra a Reggio. Intanto, le cosche egemoni sono a processo: 14 imputati scelgono l’abbreviato
di Consolato Minniti
18 ottobre 2017
21:32
Maria Chindamo
Maria Chindamo

Le storie di Giuseppina Pronestì e Maria Chindamo possono certamente essere ricondotte entrambe all’interno di un medesimo contesto ambientale: quello di Laureana di Borrello e della Piana di Gioia Tauro in generale, dove nulla accade senza che la ‘ndrangheta ne sia a conoscenza. I due casi, però, non sono fra loro collegati. O almeno, allo stato, nulla lascia presagire un possibile link fra quel suicidio dai mille dubbi di Giuseppina e la scomparsa di Maria. Ne sono convinti gli inquirenti di Reggio Calabria che hanno aperto un fascicolo sulla morte della Pronestì, ma non indagano sul caso Chindamo. Perché se è vero che quest’ultima è originaria di Laureana di Borrello e da lì parti quella maledetta giornata del maggio 2016, per poi scomparire nel nulla, è altrettanto chiaro che ad indagare è solo la Procura della Repubblica di Vibo Valentia. La sua auto fu ritrovata nella tenuta di Limbadi, dunque fuori dai confini territoriali della Procura reggina. Certo, se dalle indagini dovesse emergere una matrice di tipo mafioso – come da più parti viene ventilato – allora è ipotizzabile che il fascicolo possa presto approdare alla Dda di Catanzaro, sotto la supervisione del procuratore capo Nicola Gratteri.

Le domande del pm

Come si ricorderà, era stata il pm reggino Giulia Pantano, titolare del fascicolo che ha condotto all’inchiesta “Lex”, a formulare alcune domande al pentito Giuseppe Dimasi, appartenente al clan Ferrentino-Chindamo. L’esperto magistrato della Dda di Reggio Calabria, aveva dapprima chiesto al collaboratore se avesse mai sentito parlare di omicidio, a proposito della moglie di Tonino Digiglio, finito in cella proprio nell’indagine “Lex”, con l’accusa di essere elemento importante in seno al clan. Subito dopo la domanda sulla scomparsa di Maria Chindamo. Da qui l’interrogativo se le storie delle due donne potessero o meno incrociarsi. Quesito risolto in senso negativo.


Le parole del pentito

Dimasi, invece, riportò al pm le parole di Marco Ferrentino, il quale sosteneva che a Maria Chindamo avessero fatto pagare una relazione extraconiugale. La successive separazione, infatti, non sarebbe stata accettata dal marito che si tolse la vita. Quanto alla vicenda Pronestì, il pentito raccontò al pm Pantano che i parenti di Giuseppina ritenessero il marito della donna il “responsabile morale” di quel gesto estremo.

Come già anticipato qualche giorno addietro, proprio la Dda di Reggio ha aperto un fascicolo contro ignoti su tale vicenda, connotandola di una probabile matrice di mafiosità. Le bocche sono cucite al sesto piano del Cedir e nessuno si lascia sfuggire il minimo dettaglio, anche se la sensazione è che si stia lavorando parecchio per provare a dare una risposta certa sulla morte di Giuseppina Pronestì.

Il processo prende forma

E proprio mentre il pentito Dimasi inguaia quelli che fino a poco tempo fa erano i suoi sodali, il processo nei confronti delle cosche di Laureana di Borrello inizia a prendere forma. Oggi in 14 hanno optato per il rito abbreviato davanti al gup di Reggio Calabria, mentre altri 33 affronteranno l’udienza preliminare. In caso di rinvio a giudizio saranno processati davanti al Tribunale di Palmi. Ecco l’elenco di coloro che hanno scelto l’abbreviato: oltre a Marco Ferrentino ed allo stesso pentito Giuseppe Dimasi, figurano anche Alessio Ferrentino (cl. ’78), Alessio Ferrentino (cl. ’84), Francesco Ferrentino, Roberto Furuli, Antonello Lamanna, Francesco Lamanna, Alberto Chindamo, Francesco Antonio Ciancio, Albino Marafioti, Vincenzo Piromalli, Giovanni Sibio e Pasquale Pettè.

Tutti devono rispondere, a vario titolo, di una serie di reati che vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, danneggiamenti, lesioni personali gravi, intestazione fittizia di beni, detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, traffico di sostanze stupefacenti. L’indagine svelò il totale controllo delle cosche all’interno del territorio di Laureana di Borrello, da parte dei Ferretino Chindamo e dei Lamari. Una presenza asfissiante in tutti i settori nevralgici della vita del centro della Piana di Gioia Tauro.

Consolato Minniti

Giornalista
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