Davigo a Cosenza: «In Italia domanda di giustizia patologica»

L'ex magistrato di mani pulite a ruota libera sull'inefficienza dei processi: «In questo Paese violare la legge è un discorso di convenienza»
di Salvatore Bruno
22 giugno 2017
10:44
Incontro a Cosenza
Incontro a Cosenza

La giustizia ingolfata dal numero dei processi, dalle sentenze che non arrivano o che arrivano così tardi da rivelarsi ormai inefficaci. Con Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, protagonisti della stagione di Mani pulite, se ne è discusso a Cosenza nel corso di una iniziativa organizzata dal meetup dei Cinquestelle alla quale hanno partecipato il senatore Nicola Morra ed il sindaco di Santa Maria del Cedro Ugo Vetere.

 


Una crisi determinata da un eccesso di domanda, secondo Davigo, non perché gli italiani siano particolarmente litigiosi, ma perché violare il codice conviene. Davigo, oggi ricopre la carica di presidente della II Sezione Penale della Corte suprema di Cassazione.

«Sento parlare di crisi della giustizia da quarant’anni, da quando frequentavo l’università – dice il magistrato – La domanda di giustizia in Italia è patologica. Ogni anno in Italia vengono iniziate più cause civili di quante se ne cominciano in Francia, Spagna e Gran Bretagna messe insieme. Qualcuno sostiene che gli italiani siano più litigiosi. Io invece penso che gli italiani, come tutti i cittadini del mondo, si comportino secondo convenienza. Siccome in Italia violare la legge conviene, aumenta il numero di persone che violano la legge».

 

Lucida l’analisi di Davigo: «Prendiamo uno dei casi più ricorrenti di cause civili. Perché mai in Italia un debitore dovrebbe pagare il suo creditore? Ammesso che il creditore riesca a provare in giudizio il suo buon diritto, e non è detto che ci riesca, il debitore dovrà pagare dopo diversi anni di processo esattamente la stessa somma, maggiorata di un modesto tasso di interesse. Nel penale basta riflettere su un dato: in Francia, paese per certi versi simile all’Italia, solo il 40% delle sentenze viene appellato, in Italia viene appellato il 100% delle sentenze.

La spiegazione è semplicissima: se uno fa appello a capocchia, per prendere tempo, in Francia aumentano la pena, in Italia invece la Corte d’Appello non può aumentare la pena, al massimo confermare la sentenza di primo grado. E siccome il nostro sistema giudiziario è piramidale, sulle corti d’appello, in numero inferiore rispetto ai tribunali, viene scaricato un numero enorme di processi, tale da non consentire ai giudici di appello di svolgere al meglio il loro lavoro.

 

La conseguenza – spiega Davigo - è che la qualità delle sentenze dei giudici di appello è mediamente inferiore a quella emessa dai giudici di primo grado. In sostanza i giudici di primo grado sono severi come i padri, mentre i giudici di corte d’appello sono mediamente simili ai nonni: in genere viziano i nipoti».

Secondo Gherardo Colombo «La giustizia ha sostanzialmente due problemi. Da una parte la durata dei processi, dall’altra la qualità delle soluzioni. Le due questioni sono strettamente legate. Quando una sentenza interviene diversi anni dopo la commissione dei fatti, non può rispondere a tutti i canoni della giustizia. Per questo bisogna operare nella direzione della riduzione dei tempi e di puntare meno sui numeri e di più sulla qualità.

 

Sarebbe importante in primo luogo depenalizzare, per evitare che i tribunali debbano occuparsi di questioni che potrebbero risolversi altrove, poi andrebbero modificate alcune regole del processo. Inoltre sarebbe necessario dotare l’ufficio del giudice di una struttura di persone capace di supportarlo nella preparazione del dibattimento ed in tutti quegli adempimenti che rallentano il procedimento.

E poi bisogna dire che in Italia il numero degli avvocati è davvero eccessivo. Nel solo Lazio sono di più che in tutta la Francia. E così tanti avvocati inevitabilmente aumentano la litigiosità».

 

Salvatore Bruno

Giornalista
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