‘Ndrangheta: la “lupara bianca” del figlio del boss Arena e l’agguato con il bazooka

Il pentito vibonese Raffaele Moscato svela i retroscena di fatti di sangue eclatanti nella guerra di mafia fra i clan del Crotonese
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di Giuseppe Baglivo
16 maggio 2017
12:25

Gettano un “fascio di luce” pure su fatti di sangue eclatanti le dichiarazioni del collaboratore di giustizia vibonese, Raffaele Moscato, detenuto in carcere per un certo periodo di tempo con Paolo Lentini, ritenuto personaggio di primo piano del potente clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Agguati commessi persino con un bazooka, e le cui modalità hanno fatto il giro del mondo, e scomparse per “lupara bianca” rimaste ad oggi impunite e che hanno interessato il figlio del fondatore dell’omonimo clan di Isola Capo Rizzuto, Nicola Arena.

 


Paolo Lentini non si è messo capo locale perché non ha il nome degli Arena – racconta Moscato - e lui è il contabile della famiglia Arena. Lentini ha avuto questioni con il figlio di Arena Nicola che si voleva mettere a capo del locale e Lentini mi ha riferito della lupara bianca nei confronti del figlio di Arena Nicola in merito al quale non si è potuto fare niente in quanto “il figlio non era buono”. Il figlio di Arena Nicola si era montato di testa e gli Arena hanno sistemato al situazione tra loro stessi. Paolo Lentini non mi ha fatto capire il nome dell’autore della lupara bianca, in quanto in carcere si parla anche in modo molto riservato per timore di microspie e per timore anche di accuse di altri esponenti della criminalità che possono pensare che il colloquio posa essere fatto appositamente”.

 

L’omicidio con il bazooka di Carmine Arena. E’ uno dei fatti più eclatanti della guerra di mafia combattuta in Calabria. Sono le ore 19,45 del 2 ottobre 2004, e Carmine Arena, classe 1959, è in auto con Giuseppe Arena, classe 1966, che dopo la sua morte – ad avviso degli inquirenti ha preso ­– il comando della cosca. Ecco cosa svela Raffaele Moscato ai magistrati della Dda di Catanzaro. “Per l’omicidio di Carmine Arena – racconta il collaboratore di giustizia – Paolo Lentini diceva che la Thema blindata sulla quale la vittima viaggiava era la sua e lo stesso Lentini quel giorno si era salvato in quanto, trovandosi sulla medesima auto era stato chiamato da un suo cugino Cecè Lentini per andare a vedere una partita di calcio e dopo un’ora circa da quel momento si era verificato l’omicidio. Una volta Lentini, alla mia presenza, mentre eravamo in carcere, ha chiesto a Corda Paolo, al quale attribuiva evidentemente il fatto, se avesse ugualmente sparato qualora in macchina ci fosse stato anche lo stesso Lentini e Corda rispondeva negativamente. I due si chiamavano cugini. Si diceva che Manfredi Pasquale avesse fatto un corso per l’uso del bazooka.

 

In merito all’omicidio di Carmine Arena, Lentini mi ha detto che era presente l’autista – non ricordo chi fosse – e che Carmine Arena era morto perché era cardiopatico e perciò l’esplosione ne aveva determinato la morte. Si diceva – conclude Moscato – che Pasquale Manfredi portava solo danni. Gli Arena lo avrebbero volto uccidere ma di ciò se ne sarebbero incaricati gli stessi Nicoscia che si lamentavano della condotta dello stesso Manfredi. Ciò mi era stato riferito da Lentini e da altre persone. Manfredi non era un soggetto affidabile e per tale motivo lo volevano uccidere a tutti i costi”.

Giornalista
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