Alfano cambia nome ad Ncd. I calabresi per ora lo lasciano fare

Andrà via la parola “destra”. I big regionali non se preoccuperanno fino a quanto il governo Gentiloni resterà in piedi. L'Udc di Talarico intanto vira a destra
di Riccardo Tripepi
26 febbraio 2017
20:06
Angelino Alfano, Nuovo Centrodestra
Angelino Alfano, Nuovo Centrodestra

Grande fermento tra i “cespugli” del centro moderato italiano. Un vastissimo schieramento, ormai diviso in tantissimi movimenti, che è ancora in cerca di identità.

 


Il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, ad esempio, sta provando a cambiare nome. L’indicazione è chiara, anche se dovrà essere ancora ratificata prima dalla direzione nazionale e poi dall’assemblea convocate entrambe per il mese di marzo. Dal nome dovrebbe scomparire la parola “destra”, ultimo tassello di un percorso di spostamento progressivo verso il Pd, iniziato con l’implosione del Pdl e l’addio a Silvio Berlusconi.

 

Secondo quanto rimbalza dai palazzi della Capitale, la mossa sarebbe stata suggerita ad Angelino Alfano proprio dall’ex premier Matteo Renzi per rendere presentabile all’elettorato democratico una futura alleanza.

In Calabria i big del partito rimangono ben mimetizzati. Nessuno ha voglia di aprire discussioni con il leader, che comunque ha perso molto dell’originario appeal sul nostro territorio. Il nuovo incarico da sottosegretario affidato da Gentiloni a Tonino Gentile ha bloccato ogni ribellione e tutto fa pensare che non ci dovrebbero essere particolari movimenti fino al termine della legislatura o comunque fino a quando il governo resterà in piedi.

 

Poi, tutto sarà possibile. Compreso il “liberi tutti”. Moltissimo dipenderà dalla nuova legge elettorale e, soprattutto, da come sarà ripartito il premio di maggioranza. Un eventuale premio di coalizione e non al singolo partito, quindi con una modifica dell’attuale testo, potrebbe convincere tutti a restare intruppati con Alfano, sperando di confermare o migliorare le posizioni di attuale sottogoverno. Altrimenti sarebbe tutto da rifare, specie se dovesse essere inserito uno sbarramento per il singolo partito al 5% senza premio di maggioranza.

 

Ed allora, nell’attesa che si definisca il quadro generale, in Calabria la si racconta così: la parola “destra” viene cancellata per ottenere equidistanza da tutti gli schieramenti. Un modo per avere le mani libere e poter decidere al meglio nel momento in cui i giochi saranno fatti e, comunque, dopo le primarie del Pd e le amministrative che saranno un’importante cartina di tornasole sullo stato di salute dell’ex premier Renzi e, più complessivamente, dello stesso centrosinistra.

 

Ragionamenti analoghi animano anche l’Udc, ormai lontano parente del partito che in Calabria viaggiava oltre il 10% e condizionava pesantemente l’azione del governo regionale. Ed hanno già prodotto una frattura con Casini che guarda al centrosinistra, anche se non in maniera definitiva, e Lorenzo Cesa, detentore dello storico simbolo, che invece ha scelto il ritorno alla casa madre e cioè all’alleanza con il centrodestra e con la Forza Italia di Berlusconi. Una strada che ha deciso di seguire senza indugio l’Udc rimesso faticosamente in piedi dall’ex presidente del Consiglio regionale Francesco Talarico, pur registrando notevoli perdite. A partire da quella dei Trematerra, senior e junior, che hanno fatto, nel bene e nel male, la storia recente del partito calabrese.

 

Ma il fermento riguarda anche gli uomini di Ala ed forzisti in cerca d’autore. Tutti molto interessati a capire se esiste un modo per arrivare, o ritornare, a Montecitorio.

 

Riccardo Tripepi

Giornalista
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