Inaugurazione anno giudiziario, il pg Di Landro: «Difficile segnare una linea di confine della zona grigia»

Il procuratore generale di Reggio Calabria, oggi in quiescenza, nella sua ultima relazione analizza anche il problema della certezza della pena
di Consolato Minniti
28 gennaio 2017
14:35
Il pg Salvatore di Landro
Il pg Salvatore di Landro

«Si parla di zona grigia, ma la contiguità in tale prospettiva diventa simbiosi e connivenza e quindi diventa davvero difficile segnare una linea di separazione tra grigio e nero». È quanto scrive il procuratore generale Salvatore Di Landro in quella che è la sua ultima relazione, considerato che il magistrato è ormai in quiescenza da qualche settimana.


Come sempre molto articolata l’analisi che Di Landro fa della situazione degli uffici requirenti, con particolare attenzione a quella che viene definita comunemente come “zona grigia”. E il procuratore generale non ravvisa più quella differenza che, forse, un tempo vi era.


 

«Giustizia tempestiva impossibile. Giusto lamentarsi dei ritardi»

 

«Le conseguenze sono che uomini operanti nei settori della imprenditoria, della politica, della pubblica amministrazione, delle professionalità e, purtroppo, anche delle forze di polizia giudiziaria e della magistratura, invero in casi limitati come accertato in questo distretto, si affianchino e vengano trascinati dalla prospettiva di illeciti profitti e della condivisione del potere, in azioni che li trasformano in essenziale supporto per la sopravvivenza e proliferazione ed arricchimento delle associazioni criminali, queste sempre guidate dall’interesse al profitto economico e ad assicurarsi il mantenimento del potere, del controllo del territorio, della ricchezza illecita attraverso l’azione di riciclaggio».


Parla di “smarrimento” dei cittadini il procuratore Di Landro, ma anche di diminuzione della fiducia nelle istituzioni.


L’analisi diventa molto diretta quando il magistrato afferma come sia «demoralizzante constatare che, ancora oggi, nei processi e nei dibattimenti, le stesse famiglie di ‘ndrangheta che venivano processate negli anni settanta, sia pure con l’accusa di associazione criminale, siano le stesse o quantomeno gli imputati siano loro discendenti, siano loro parenti, affini, portino il loro cognome o siano affiliati alla medesima “famiglia mafiosa” già giudicata. Un investigatore al risveglio da un coma durato 40 anni, non avrebbe difficoltà a leggere la mappa dell’attuale crimine».


La certezza della pena. Il procuratore generale, poi, non manca di rimarcare come la certezza della pena sia «un’affermazione smentita dalla concreta dinamicità della stessa e dalle modalità di esecuzione, pienamente legittime, cioè derivanti dalla legge. Tale dinamicità è ampiamente discutibile specie se le modalità alternative siano conseguenza della indisponibilità di strutture».

 

Consolato Minniti

 

Giornalista
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