Magarò: «La data di nascita di Giorgio Ambrosoli sia Giornata dei Doveri»

Dalla Calabria la proposta di istituire e calendarizzare la Giornata dei Doveri. La proposta avanzata da Salvatore Magarò, già presidente della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta
di Salvatore Bruno
22 gennaio 2017
16:02
Salvatore Magarò
Salvatore Magarò

Giunge dalla Calabria la proposta di istituire una giornata dei doveri, da calendarizzare insieme a quelle già in vigore e dedicate alla tutela di diritti fondamentali dell’uomo. Ad avanzarla è Salvatore Magarò, già presidente della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta. «Quello che manca e forse servirebbe soprattutto nel nostro Paese, è una giornata dei doveri per farli ricordare e per riproporli come fondamento della convivenza civile e come base inderogabile di solidarietà sociale per poter costruire un futuro migliore di progresso e di benessere non solo economico» scrive l’ex consigliere regionale e attuale presidente dell’Associazione Più di Cento – Tana per la legalità.


«Lungi da me, voglio ribadirlo a scanso di equivoci, minimamente svalutare il ruolo importantissimo che svolgono le giornate intitolate in difesa dei diritti – sottolinea Magarò - hanno un grande valore di sensibilizzazione e contribuiscono non poco a far progredire la soglia di tutela di diritti che sempre più spesso e a varie latitudini vengono negati o limitati. Quella dei doveri la ritengo, invece, una categoria che più che di negazioni e limiti soffre prevalentemente di rimozioni e smemoratezze. Eppure ci sono i doveri inderogabili che sono indicati, direi scolpiti, nella Carta Costituzionale che prevede una serie di doveri pubblici che lo Stato può vantare nei confronti dei singoli, affinché sia data concreta attuazione al principio di solidarietà sociale. Sono detti inderogabili, questi doveri, perché nessuno può essere esentato dalla loro osservanza, in quanto costituiscono il fondamento di una pacifica e costruttiva convivenza.



Nella nostra Costituzione c’è un principio solidarista: si stabilisce una simmetria tra i diritti e i doveri perché se ai cittadini si “riconoscono” (non si attribuiscono) diritti inderogabili, parallelamente si chiede l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.


A questi doveri ciascuno adempie esercitando i propri diritti politici, come il voto, rispettando gli obblighi imposti dalla Costituzione e dalle leggi, difendendo la Patria e pagando le tasse e le imposte, in modo da dare il proprio contributo per sostenere le spese pubbliche.


Secondo l’art. 52 della nostra Carta, “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, e questo non è un semplice obbligo giuridico, ma un impegno morale.


“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”, afferma l’art. 54. Il dovere di fedeltà, inoltre, impone ai cittadini di non ricorrere a metodi violenti nella lotta politica, ma di utilizzare il metodo democratico e di rispettare i principi e le norme contenute nella Costituzione e nelle leggi.


Questi obblighi valgono in modo particolare per i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche. Per quanti rivestono incarichi elettivi e per funzionari e impiegati pubblici a tutti i livelli.


Ecco, io penso che dovremmo dedicare una giornata per discutere e riflettere su questi doveri – sottolinea ancora Magarò - Anche i doveri, come i diritti, devono essere difesi, tutelati, ed estesi. Per una data che sia occasione condivisa per confronti, dibattiti e opera di sensibilizzazione e di “educazione civica” nel senso più ampio e alto del termine, avanzo anche una proposta precisa: quella dell’17 ottobre.


Perché in quella data, nel 1933, nacque Giorgio Ambrosoli che a soli 41 anni, la sera dell'11 luglio 1979 cadeva assassinato a Milano nell’agguato di un sicario. Era «un uomo libero, persino dalla preoccupazione per la sua stessa incolumità»; un «eroe borghese», lo ha definito Corrado Stajano nel libro che narra la vicenda di un uomo che ha pagato con la vita il suo senso del dovere. Borghese forse non solo perché non indossava divise e non aveva bandiere se non il tricolore cui era devoto, ma anche perché era un professionista che svolgeva, con rigore e onestà e senza cedere a pressioni e ricatti, un incarico pubblico, quello di commissario liquidatore di una banca finita nelle mani di pirati della finanza al servizio della mafia e di Cosa Nostra americana».

Giornalista
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