L’augurio di Natale dell'arcivescovo Vincenzo Bertolone

Il presidente della Conferenza episcopale calabra: «In vista del giorno della nascita di Gesù, un po’ tutti dovremmo riscoprire il senso concreto dell'Incarnazione ed il suo effettivo significato, specialmente in luoghi in cui la celebrazione della venuta del Messia sembra coincidere per moltissimi con una festa del regalo»
di Rosaria Giovannone
24 dicembre 2016
17:46

Ogni uomo è chiamato a vivere un Natale vero. Per farlo deve però comprendere cosa significhi vivere un Natale vero. Nel suo augurio il presidente della Conferenza episcopale calabra, mons. Vincenzo Bertolone, spera che ogni membro della comunità possa comprendere la verità di questo giorno santo.


«“Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale, noi, gente misera, in una gelida stanza, il vento corre fuori, il vento entra. Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo: perché tu ci sei davvero necessario».



Bertolt Brecht, figura apparentemente così lontana dal cristianesimo, ci ricorda con una delle sue poesie quale necessità autentica e profonda del Natale di Cristo vi sia per gli ultimi della terra e per i poveri, non solo a livello sociale. Ecco perché, in vista del giorno della nascita di Gesù, un po’ tutti dovremmo ripensare a quell’attesa e riscoprire il senso concreto dell'Incarnazione ed il suo effettivo significato, specialmente in luoghi in cui la celebrazione della venuta del Messia sembra da decenni coincidere per moltissimi con una festa del regalo, dispensatrice di un po’ di epidermico piacere di circostanza e nulla più.


Si perde, in tutto ciò, il provocatorio paradosso di una giornata invece particolare, in cui Dio sceglie di farsi carne per cambiare il destino oscuro di un mondo che non riconosce la sua debolezza. Al centro di tutto ci sono un uomo, e quindi una storia, proprio all’antipodo del mito.


Un uomo segnato dalle frontiere del tempo, che si chiamano nascita e morte. Un uomo come gli altri, contraddistinto da una personale identità spaziale, culturale e temporale. È su di lui che si proietta la luce della Pasqua e del mistero, fino a renderlo diverso da ogni altro uomo per il suo essere manifestazione di Dio, per il suo amore infinito, per la sua nascita modesta che si fa rivelazione cosmica e la sua morte che diventa vita universale.


Questa scelta induce anche noi, ciascuno di noi, ad essere diversi, possibilmente nuovi rispetto a ciò che probabilmente siamo stati finora. A diventare, cioè, persone finalmente in grado di individuare i contorni del male, che alberga nei cuori prima che nelle strade e nelle periferie del pianeta: Satana predilige una spiritualità individualistica, egoistica e detesta la carnalità cristiana che induce a sporcarsi le mani nel curare malati, a varcare soglie di carceri per portare parole di incoraggiamento, a impantanarsi negli spazi fangosi riservati ai nomadi, a curare vecchi malati cronici, servendo a mensa tutti: sono affamati.


È lì che il Dio cristiano del Natale si nasconde: nella carne degli ultimi della terra. E da lì chiama tutti alla speranza. A ricercare e custodire, cioè, qualcosa «che non è in potere dell’uomo e che non è visibile», come ha sottolineato Papa Francesco, e non è semplice ottimismo, ma «una virtù rischiosa» e che «il Natale di Cristo, inaugurando la redenzione, ci parla di una speranza diversa, una speranza affidabile, visibile e comprensibile, perché fondata in Dio». Il segno di un sentimento e di un’opportunità, insomma, che lo scrittore americano Oren Arnold rendeva concreti fondendoli nei consigli per gli autentici doni natalizi: “Il perdono per il tuo nemico, la tolleranza verso un tuo avversario, il tuo cuore per i tuoi amici, un buon servizio per un tuo cliente. Carità per gli altri e buon esempio per un bambino. Rispetto per se stessi”.


Possa essere questo, soprattutto questo, il Natale che arriva. A tutti ed a ciascuno, di cuore, auguri».

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