Cafiero: «Niente patti con le ‘ndrine». Riferimento a Condello?

Pesante stilettata del procuratore di Reggio: «Mai usate fonti confidenziali». Automatico il collegamento con quanto disse Nino Lo Giudice, indicando il fratello come colui che diede informazioni per l’arresto del Supremo. Tesi negata dal vertice del Ros di allora
di Consolato Minniti
1 dicembre 2016
20:39

«Lo Stato non scende a patti con la ‘ndrangheta». Aspetta la fine della conferenza stampa, il procuratore capo Federico Cafiero de Raho, per infliggere una stilettata, per nulla passata sotto traccia fra i giornalisti presenti. Prima i complimenti, poi l’analisi ed infine la bordata. «Una volta – spiega il capo della Dda – si usavano le fonti confidenziali per arrestare i latitanti, ma chi fa le confidenze è un criminale che qualcosa in cambio per quella informazione. Noi non abbiamo comprato mai niente dai criminali. O, almeno, da tre anni e sei mesi – il tempo di permanenza di Cafiero a Reggio, ndr – non c’è stato mai nulla di questo genere. Noi applichiamo nei confronti dei criminali solo e sempre la leggere e continueremo ad andare avanti in questo modo. Non accettiamo alcun tipo di patto». In molti, nella sala “Calipari” della questura si domandano cosa voglia dire il procuratore, facendo riferimento alle fonti confidenziali, che in sé rappresentano un normale approccio delle forze di polizia, da diversi decenni.

 


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Il caso Condello. Solo che a Reggio Calabria, qualcosa di molto diverso sembra essere accaduto negli anni scorsi. E il pensiero non può che correre a quanto verificatosi con la cattura di Pasquale Condello “Il Supremo”. Come molti ricorderanno, infatti, Condello – arrestato nel febbraio 2008 – viene braccato dagli uomini del Ros diretti all’epoca del colonnello Valerio Giardina, sotto il coordinamento del pm Giuseppe Lombardo. Un’operazione brillante che segna la fine definitiva del mito del “Supremo”. Qualche anno dopo, però, il pentimento di Nino Lo Giudice fa emergere qualcosa di diverso rispetto alla versione ufficiale della cattura. Il collaboratore di giustizia fa riferimento ad informazioni date da suo fratello Luciano, per la cattura del “Supremo”. Del resto, Nino Lo Giudice ne cura la latitanza per un lungo periodo e, dunque, ha accesso ad informazioni riservate che nessun altro può conoscere. Verità o fandonia, quella detta dal “nano”?

 

Il nodo delle informazioni confidenziali. Sta di fatto che nel corso delle indagini sulle bombe in procura, il gip di Catanzaro emette un’ordinanza di custodia cautelare in carcere al cui interno si fa riferimento a due magistrati in contatto con Luciano Lo Giudice. Uno di essi è Alberto Cisterna, il quale in un primo tempo non rivela il vero motivo della conoscenza con il presunto appartenente alla cosca, ma si limita a parlare di «interessi superiori dello Stato». Sarà lo stesso Nino Lo Giudice, nel suo memoriale redatto ben oltre i termini dei 180 giorni, a parlare per la prima volta della cattura di Pasquale Condello. Solo allora, anche Cisterna inizierà a discutere della vicenda. Si capisce, quindi, che la conoscenza con Luciano Lo Giudice è dettata dal fatto che Cisterna sa che è un informatore che può fornire notizie d’interesse investigativo. Ed è qui che la versione della Procura di Reggio non collima più con quella dell’ex procuratore aggiunto della Dna e dell’ex capo del Ros. Perché secondo la Dda reggina, all’epoca guidata da Giuseppe Pignatone e poi passata sotto il controllo di Cafiero de Raho, Condello viene arrestato proprio grazie a quelle informazioni riservate date da Luciano Lo Giudice ad un brigadiere dell’Arma. Secondo Giardina, più volte sentito sia nel processo “Meta” (quello che scaturito proprio dalle indagini sulla cattura di Condello) che in quello sul clan Lo Giudice, invece, “Il Supremo” finisce nella rete della Giustizia soltanto grazie all’attività tecnica. Il colonnello dell’Arma ribadisce a gran voce come le informazioni che si assume siano arrivate da Lo Giudice, in realtà erano già da tempo in possesso del Ros.

 

Quella telefonata poche ore dopo la cattura. Ma è soprattutto su una telefonata e due sms che la Dda punta con decisione. Alle 23.40 del 18 febbraio 2008, Luciano Lo Giudice scrive al brigadiere dell’Arma: «Ricordati di me». Alle 00.16: «Ogni promessa è un debito». Il significato di quei messaggi sembra non lasciare dubbi: il fratello del “nano” voleva essere coinvolto nelle ore concitate del post-cattura di Condello. Pochi secondi dopo la telefonata in cui i due prendono un appuntamento e Lo Giudice esclama: «Ora possiamo andare in pensione, però, dai». Questo è per la Procura un primo importante tassello che svelerebbe come le fonti confidenziali abbiano avuto un ruolo fondamentale nella cattura di Condello. Tesi che, però, si scontra nettamente con tutti gli atti depositati nel processo “Meta” e che raccontano come le cose andarono in maniera assai diversa.

 

Svelato il senso delle parole di Cafiero. Non è difficile allora capire perché oggi il procuratore capo di Reggio abbia inteso rimarcare come nessun latitante sia stato arrestato, sotto la sua gestione, con informazioni confidenziali. La vicenda di Condello ha portato ad una trasmissione di atti in Procura per il vertice del Ros di allora, aprendo una spaccatura devastante fra quella vecchia guardia e alcuni pm reggini. E, forse, proprio per evitare che la storia si possa ripetere, Cafiero ha voluto sgombrare il campo da possibili illazioni. «Non dobbiamo dire grazie a nessuno», si è affannato a ripetere il procuratore capo. Non facciamo fatica ad immaginare che avesse in mente proprio la notte fra il 18 e il 19 febbraio 2008.

 

 

Consolato Minniti

 

Giornalista
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