Omicidio Di Leo: i moventi del delitto, il collaboratore di giustizia e le fughe di notizie

L’attività di indagine ha permesso di ricostruire tutta la vicenda che ha portato all’eliminazione di Di Leo, divenuto “pedina” scomoda per il suo clan. Non solo un movente ha determinato l’omicidio.
di Gabriella Passariello
13 gennaio 2016
18:03

Le frizioni che, in quel determinato periodo storico, erano emerse all’intero del clan Bonavota e che portarono all’eliminazione di diversi suoi componenti . Come dimostrano Pietro Lopreiato e Antonino Bonavota, suocero della vittima, nei passaggi in cui commentano quanto accaduto, quello dell'intromissione del Di Leo nel rapporto extraconiugale di  Pasquale Bonavota con la cugina era, al massimo un mero pretesto, dietro al quale si celavano ben altri e più consistenti interessi economico-criminali. In particolare gli interessi commerciali e l’episodio che si era verificato nella zona industriale di Maierato immediatamente prima dell’omicidio, quando  Di Leo aveva “cacciato” gli operai che, per conto di Domenico Bonavota, dovevano effettuare gli scavi per la realizzazione di un bar nella zona industriale di Maierato, da intestare alla moglie di Nicola Bonavota e Rosa Serratore. Ma c’è di più. La vittima era ritenuta responsabile del collocamento di un ordigno che aveva distrutto una concessionaria di autovetture ubicata allo svincolo autostradale di Sant’Onofrio, di proprietà di tale De Fina,  che  evidentemente  già subiva il controllo criminale della cosca. E poi c’era il timore che Di Leo  potesse porre in essere azioni nei confronti di altri esponenti del clan, in ragione della sua caratura criminale e della “voglia” che stava maturando di imporsi nell’ambito della consorteria e sul territorio. Si è trattato insomma di un omicidio premeditato. Il killer è stato incastrato dal Dna, ma le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, che un tempo faceva parte del gruppo dei “Piscopisani”, alleato ai Bonavota, hanno delineato il grave quadro indiziario di colpevolezza a carico di Fortuna. Nel verbale di interrogatorio reso il 15 maggio 2015 aveva affermato di non conoscere i dettagli dell’omicidio Di Leo,  confermando però il ruolo di killer di Francesco Fortuna, che si deduce da due particolari, importanti per inquirenti e investigatori. Fortuna era considerato particolarmente abile a maneggiare ed utilizzare in azioni di fuoco il kalashnikov, proprio l’arma utilizzata nell’omicidio Di Leo e che il killer temeva in modo ossessivo di poter lasciare in giro tracce biologiche, al punto da prelevare e portare con sé, in ogni occasione, sia le “cicche” delle sigarette che fumava che le bottigliette di acqua che beveva. Abitudine questa   che gli era stata confermata anche da Francesco Scrugli ( coinvolto con  Barbieri nell’omicidio di “Lele Palermo” secondo quanto dichiarato dal Michienzi), personaggio di notevole spessore criminale facente parte del gruppo di Andrea Mantella, vicino ai Bonavota, ucciso nella faida tra i Patania e i Piscopiani.  Circostanza questa che dimostra come l’assassino consapevole di aver partecipato a diverse azioni di fuoco - e sicuramente a quella nei confronti di Di Leo  non voleva lasciare in giro tracce che potessero inchiodarlo alle sue responsabilità. Un dato, come dichiarato da numerosi collaboratori di giustizia e, da ultimo, dallo stesso Moscato, che costituisce ulteriore riprova del fatto che alcuni gruppi criminali, tra i quali appunto i Bonavota, oltre ai Piscopisani, vengono sistematicamente messi al corrente degli sviluppi delle attività di indagine poste in essere nei loro confronti,


L'interrogatorio di Moscato


ADR: nulla so dire in relazione all’omicidio  Di Leo Domenico, so solo che lo stesso e’ avvenuto diversi anni fa a Sant’Onofrio e che la vittima, al momento dell’agguato si trovava a bordo di una macchinina 50, ovvero di una microcar.

Spontaneamente durante la rilettura  Moscato dichiara che Pardea Antonio e Battaglia Rosario gli avevano detto che questo Di Leo era un sanguinario che aveva preso parte alla vecchia guerra tra Stefanaconi e Sant’Onofrio, circostanza, questa, confermata dal contenuto delle conversazioni intercettate tra il suocero Antonio Bonavota e  Pietro Lopreiato. Spontaneamente dichiara: intendo precisare che Francesco Fortuna, ogni volta che spegne la sigaretta se la mette in tasca e questo lo fa per non lasciare traccia di Dna; questa cosa mi viene in mente e la metto in relazione all’omicidio Di Leo in quanto e’ possibile che Fortuna abbia questo tipo di atteggiamento temendo che gli inquirenti abbiano il Dna di qualche fatto delittuoso cui aveva partecipato; a fare cio’ l’ho visto la prima volta ad una riunione, una di quelle che noi facevamo con i Bonavota a Sant’Onofrio, in quanto Bonavota Domenico e Francesco Fortuna avevano la sorveglianza, in presenza mia di Battaglia Rosario e Francesco Scrugli, per la parte nostra, dei Bonavota in presenza di Basile Caparrotta, Domenico Bonavota e Francesco Fortuna; preciso che queste riunioni venivano svolte da noi sempre in case diverse e vecchie, anche di signore o pensionati,  per non destare sospetti; solitamente veniva a prenderci al Palazzetto dello sport a Vibo un tale Barbieri [anche lui ritenuto componente del commando che ha eseguito l’agguato nei confronti del Di Leo], cognato di Franco La Bella, detto “Padre Pio”; io gia’ dalla prima riunione ho notato che  Fortuna  Francesco spegneva la sigaretta e se la metteva in tasca; ha fatto cio’ ogni volta che l’ho visto io;  anche la bottiglia d’acqua di plastica che sorseggiava se la portava sempre a casa;  questo atteggiamento la prima volta mi ha preoccupato, mi ha fatto pensare che ci fosse qualcosa dietro, ho pensato ‘mo ci ammazzano’, poi Francesco Scrugli mi disse che lui faceva sempre cosi’ per non lasciare traccia del Dna.

ADR: questo e’ avvenuto ogni volta in mia presenza, per almeno 4 o 5 riunioni, ma non so dire da quanto tempo usasse questo accorgimento; Francesco Scrugli, un giorno mentre stava ritirando l’estorsione dell’Annunziata a Vibo, dopo avermi detto che lui era bravo con il fucile calibro 12, mi ha riferito che Francesco Fortuna e’ molto bravo con il Kalashnikov; tutti mi dicevano che Francesco Fortuna e’ un sanguinario, nel senso che aveva fatto parecchi omicidi, me lo dissero in particolare Francesco Scrugli, Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo.

 

ADR: un paio di giorni prima del previsto agguato ad uno dei fratelli PATANIA, in pratica quello dei fratelli che sarebbe passato quel giorno dalla strada, siamo andati di sera a provare il kalashnikov e la pistola che dovevano essere utilizzate, in una campagna fuori Sant’Onofrio, vicino ad un ponticello; eravamo io, FORTUNA Francesco e Fiorillo Rosario: io ho provato il kalashnikov e Fiorillo ha provato la 9x21; non abbiamo provato la 357 che la mattina dell’attentato avevamo anche a disposizione  in quanto in quel momento non era a nostra disposizione, la stessa ci e’ stata consegnata, a sorpresa, solo la mattina che dovevamo andare a tendere l’agguato; le due armi quel giorno sono state portate dai Piscopisani, ma non so dire di preciso chi; il giorno dell’agguato  la 357 ci e’ stata portata da Cugliari Domenico, detto “Micu i Mela”; ricordo che nei due giorni precedenti io e Fiorillo Rosario abbiamo dormito a Sant’Onofrio in un casolare, vicino le case popolari, e in quel posto il cibo ci veniva portato da Francesco Fortuna;  in quella casa dormivamo da soli e ricordo che c’erano due   divani; mentre eravamo in quella casa e’ venuto a trovarci Mimmo Bonavota che sapeva di questo attentato, con lui ci eravamo organizzati logisticamente e ci aveva trovato quella casa; ci ha detto che dopo l’omicidio  potevamo stare altri 5 o 6 giorni li’ anche per evitare lo stub.

ADR: con i Bonavota, dopo la morte di Francesco Scrugli, non abbiamo fatto piu’ nulla; del gruppo dei Bonavota fanno parte: il capo Domenico Bonavota detto “Mimmo” che ha 33-35 anni; Domenico Cugliari detto “Micu i Mela” che ha circa 55 anni; Francesco Fortuna; Basile Caparrotta, Tonino Patania, Salvatore Bonavota; Barbieri detto “Padre Pio” ma so che ha anche un altro soprannome; gli altri non li ricordo; loro prendono estorsioni sul territorio di loro competenza che e’ quello di Sant’Onofrio, la zona industriale di Maierato e Pizzo… so che la droga per loro la tratta Pasquale Bonavota, che vive a Roma; so che ha un bar e un tabacchino qua a Roma che gli gestisce il fratello che e’ all’universita’; so, ancora, che gli sono stati   sequestrati  dei beni che  poi sono stati restituiti; loro hanno come avvocato di fiducia Franco Coppi; si e’ sempre detto negli ambienti criminali che i Bonavota, nel Vibonese, sono quelli che hanno piu’ legami di tutti con le altre famiglie, piu’ dei Mancuso;  hanno legami in tutta Italia e anche in Canada; delle amicizie in Canada, dove loro andavano, me lo disse Salvatore Bonavota.

 

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